Fondazione per aiutare se stessi

Tania Stefanutto

4 Agosto 2017 - 08:00

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Fondazione per aiutare se stessi

La dottoressa Tania Stefanutto, commercialista in Brescia, ci spiega il fantomatico segreto dell’escapologo sulla possibilità di risparmio fiscale che avrebbero gli imprenditori disinibiti: nascondere il proprio patrimonio tramite la costituzione di una fondazione.

SEGRETO

In questo «segreto» viene proposto di costituire una fondazione per segregare risorse patrimoniali dell’impresa sottraendole ai creditori, primo fra tutti lo Stato, riducendo sia il carico fiscale della società che il suo patrimonio, in evidente abuso degli strumenti giuridici leciti previsti per il Terzo Settore

COMMENTO

Questo “segreto” definito nel volume in commento “leggermente più articolato rispetto a quelli che abbiamo visto finora” è dedicato ai più “disinibiti” dei “disinibiti”.
Il presupposto è: le fondazioni non pagano le imposte e sono esenti da contabilità, quindi ognuno si faccia la propria fondazione in cui segregare, tramite apposito Trust, danari e beni di provenienza societaria. L’effetto che si otterrà saranno patrimoni non aggredibili da chiunque, detassazione delle liberalità e per finire proventi esenti in capo alla fondazione, imputati a conto economico della società beneficiaria dei vantaggi.

Seguiamo le istruzioni fornite dal testo: il sig. Mario decide di acquistare un casale storico da ristrutturare e da mantenere nel proprio patrimonio immobiliare. Il sig. Mario, imprenditore inibito, lo acquista, lo mette nel registro cespiti e procede all’ammortamento in 33 anni e solo per la quota fiscalmente deducibile pari al 70%. Stessa sorte per quanto necessario alla ristrutturazione (manutenzione straordinaria incrementativa). Il bene avrà poi effetto sugli studi di settore, sarà un bene pignorabile e per finire “diventa un debito”.

Soluzione fornita: costituire una fondazione.

Fermiamoci all’analisi di quanto detto al sig. Mario: l’art. 90 del Tuir prevede che i beni patrimonio non siano rilevanti nel reddito d’impresa sulla base di costi e ricavi, pertanto il casale sarà tassato secondo le regole previste per i redditi fondiari: cioè sulla base della rendita catastale. Le premesse da cui muove il testo sono sbagliate, trattano il casale come un bene strumentale e non come un bene patrimonio. Sono errate anche le affermazioni relative agli studi di settore nei quali gli immobili non rilevano mai né come beni strumentali né come beni patrimonio.

In ordine all’affermazione che il bene, se inserito nel patrimonio aziendale, “diventa un debito” ammetto che non so cosa argomentare: “avere oggi un immobile in Italia è diventato un debito e non un investimento, e si stava meglio quando si stava peggio!”. Affermazioni apodittiche relegabili nella categoria delle “chiacchiere da bar”.

Passiamo quindi alla soluzione proposta al sig. Diego: imprenditore che non teme nemmeno le maledizioni divine (in fin dei conti le fondazioni dovrebbero avere scopi benefici e fare del bene a se stessi è pur sempre fare del bene).

Il sig. Diego, in men che non si dica, costituisce una fondazione, devolve alla stessa la modica cifra di 50.000€ necessaria per comprare il casale e poi ogni anno 50.000€ per tre anni per la ristrutturazione.

La fondazione è a lui riconducibile tramite l’interposizione di un TRUST (scritto a caratteri cubitali). Effetti immediati: l’azienda di Diego spesa direttamente in 4 anni 200.000€, ergo il risparmio è di 64.000€ di tasse; il casale non è più aggredibile da nessuno (fallimenti compresi); il casale è in grado di autofinanziarsi con l’affitto dei locali per le feste aziendali di Diego garantendo a Diego di “scaricare costi” e alla fondazione di non pagare imposte. Due note: le erogazioni liberali sono limitate (non si sa bene fino a che cifra) e l’affitto dei locali è limitato (non si sa bene fino a che cifra). Risultato la beneficienza paga sicuramente chi la fa e chi la riceve, soprattutto se sono la stessa persona.

Osservazioni sulla soluzione trovata dal sig. Diego: come si costituisce una fondazione.

L’art. 14 del Codice Civile prevede la costituzione della fondazione con atto pubblico, non scrittura privata autenticata, bensì atto pubblico! Tale atto prevede quindi due testimoni oltre i fondatori e il notaio.

La normativa sull’antiriciclaggio obbliga poi il notaio a richiedere, trattandosi di fondazione costituita da un TRUST (di tipo imprecisato oltretutto), il nome del beneficiario effettivo, con la possibile, se non probabile, segnalazione dell’operazione in quanto sospetta.

Passato indenne il vaglio del Notaio, magari amico di Diego e altrettanto disinibito, è la volta della Prefettura o della Regione. Dimentica infatti l’autore che le fondazioni per avere personalità giuridica, e quindi contrarre obbligazioni con i terzi, necessitano di questo banalissimo passaggio: il riconoscimento della personalità giuridica da parte dell’Autorità! Passaggio che impone che la fondazione sia costituita con un patrimonio minimo che varia da Regione a Regione (e quindi i primi 50.000,00€ non possono essere una donazione deducibile per l’azienda perché la fondazione non esiste ancora e perché saranno da destinare al Fondo di Dotazione, senza il quale nessun riconoscimento potrà avvenire).

Se non vi è riconoscimento di personalità giuridica la fondazione avrà serie difficoltà ad acquisire un immobile, perché di fatto per la dottrina e giurisprudenza prevalente è un ente inesistente: quindi niente personalità niente atto notarile per l’acquisto dell’immobile.

Passata indenne la prima fase, si ricorda solo per dovere di cronaca l’art. 25 sempre del codice civile che consente all’autorità amministrativa (Prefettura) di: “sciogliere l’amministrazione e nominare un commissario straordinario, qualora gli amministratori non agiscano in conformità dello statuto o dello scopo della fondazione o della legge.”, si passa alla seconda fase: erogazioni liberali deducibili per l’erogante.

La deducibilità delle erogazioni liberali è prevista sia dall’art. 100 del Tuir che dall’art. 14 del D.L. 35/2005 conv. con mod. in L. 80/2005, le due norme introducono limiti alternativi:

a) Art. 100 introduce un limite quantitativo nel 2% del reddito d’impresa dichiarato e comunque nel massimo di € 30.000, e uno qualitativo, persone giuridiche - quindi fino a che la fondazione non è riconosciuta nessuna donazione è deducibile - che perseguono “specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto” o “di ricerca scientifica”;
b) Art. 14 prevede un limite quantitativo nella misura del 10% del reddito complessivo e nella misura massima di 70.000€ solo in caso di erogazioni a ONLUS o enti riconosciuti di tutela e valorizzazione dei beni di interesse artistico, storico e paesaggistico.

Per quanto riguarda poi l’ipotesi specifica del “casale storico” il comma e) dell’art. 100 precisa che se si tratta di bene vincolato “le spese sostenute dai soggetti obbligati alla manutenzione, protezione o restauro delle cose vincolate” sono deducibili come donazioni “nella misura effettivamente rimasta a carico”.

Qualora la donazione non rispetti i requisiti sopra indicati, sempre l’art. 100 al comma 4 così dispone: “Le erogazioni liberali diverse da quelle considerate nei precedenti commi e nel comma 1 dell’articolo 95 non sono ammesse in deduzione”.
Quindi, se la fondazione è davvero ente “benefico”, la donazione non è detto sia interamente deducibile, specie se nel frattempo sono stati già implementati gli altri “segreti” e magari non vi è più reddito!

Passiamo alla questione della segregazione patrimoniale: il bene inserito in una fondazione non è aggredibile dai creditori sociali, primo fra tutti lo Stato.
Affermazione corretta, se il bene viene acquistato con fondi propri della fondazione e lecitamente alla stessa giunti; diverso è il discorso se il danaro che la fondazione riceve è di provenienza “illecita”. Se la provvista in uscita dall’azienda del sig. Diego è frutto di sottrazione di risorse ai creditori sociali, in stato di decozione anche non palesato ai terzi, o di violazioni, penalmente rilevanti, della normativa tributaria, il sig. Diego potrebbe porre in essere un comportamento rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 648-ter c.p., il cd. Auto riciclaggio; peraltro, stante l’attuale normativa, banche e professionisti ai quali Diego dovesse rivolgersi per porre in essere i propri scopi potrebbero segnalare l’operazione laddove nella stessa dovessero ravvisare elementi potenzialmente sospetti.

Resta sempre applicabile, in caso procedure concorsuali aperte successivamente alla costituzione della fondazione, la normativa prevista dalla Legge fallimentare per i reati di bancarotta (che comportano pene detentive fino a 10 anni).

Restano poi sempre esperibili dai creditori sociali nei confronti del sig. Diego, specie in caso di apertura di procedure concorsuali, anche le azioni di risarcimento del danno previste nel codice civile.

Veniamo ora al lato della fondazione, che essendo sempre riferibile allo stesso imprenditore (sig. Diego), di fatto viene valorizzato come patrimonio di famiglia: le ONLUS, e quindi la nostra fondazione, per non vedersi tassate le donazioni e per avere un trattamento agevolato dei redditi commerciali devono mantenere la caratteristica di enti non commerciali.

Va fatta comunque una premessa: un ente non commerciale non è sempre una ONLUS, pertanto la nostra fondazione potrebbe non godere nemmeno di tutti i privilegi previsti dalla normativa fiscale (D. LGS. 460/1997). Solo per dovere di cronaca si ricorda che per il riconoscimento dello status di ONLUS è necessario passare il vaglio della Direzione Regionale dell’Agenzia Entrate, con buona pace dei disinibiti.

Ai sensi dell’art. 149 del TUIR (valido per tutti gli enti non commerciali), le indicazioni contenute nello statuto e nell’atto costitutivo sono irrilevanti di fronte ad indici presuntivi legati al rapporto tra proventi commerciali e istituzionali e a donazioni. Tali presunzioni però non limitano il disconoscimento da parte dell’amministrazione dei benefici: se nel concreto si dimostra l’assenza di “scopi non di lucro”, l’ente anche se formalmente risponde ai requisiti richiesti dalla legge, è considerato “commerciale”.

Le conseguenze dirette sono due:

a) tassazione dei proventi in capo alla fondazione;
b) indeducibilità della liberalità in capo alla società erogante.

Al fine di mantenere i requisiti per il riconoscimento di ONLUS poi la fondazione dovrà rispettare i dettati delle norme che prevedono: obblighi contabili, informativi e di rendicontazione.

Non vanno poi dimenticati gli obblighi informativi legali delle fondazioni: per tutte le attività commerciali l’art. 20 del DPR 600/1973 obbliga alla regolare tenuta della contabilità e per le raccolte di fondi.

Conclusioni: non volendosi qui introdurre il tema dell’art. 1 del D.Lgs. 128/2015, va solo ricordato che il Terzo Settore è da anni sotto la lente d’ingrandimento dell’Agenzia delle Entrate e che quanto proposto ha l’evidente obiettivo di utilizzare uno strumento lecito per finalità non proprie, in danno di creditori e della collettività.

Tra tutti i “segreti” questo utilizza lo stesso sistema in voga tra gli automobilisti: se non c’è parcheggio vicino utilizzo il posto riservato disabili. Qui si usa un sistema nobile per un fine molto discutibile.

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