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Accordo bancario Italia - Svizzera: perché scegliere la procedura di rientro dei capitali

venerdì 16 gennaio 2015, di Simone Casavecchia

Alla luce dell’accordo raggiunto da Italia e Svizzera sulla fine del segreto bancario e sullo scambio di informazioni fiscali, l’accesso alla procedura di regolarizzazione dei propri conti con il fisco, che consente di far emergere i capitali depositati all’estero, precedentemente non dichiarati tra i propri redditi, diviene una scelta quanto mai conveniente perché si configura come l’ultima occasione per regolarizzare i propri rapporti con l’Erario senza subire sanzioni penali. Ecco cosa prevede l’accordo tra Italia e Svizzera e quali potrebbero essere i maggiori vantaggi per il contribuente.

Scambio di informazioni
I nuovi strumenti di contrasto all’evasione fiscale, contenuti nell’accordo raggiunto tra Italia e Svizzera, consentiranno all’Agenzia delle Entrate di ottenere informazioni bancarie su ogni singolo contribuente. Il fisco italiano avrà, quindi, visibilità sui conti in Svizzera dei contribuenti italiani per il periodo 2015 ma non per quelli precedenti (l’accordo non ha efficacia retroattiva) e potrà richiedere queste informazioni alle banche svizzere molto prima dell’effettiva ratifica degli accordi (prevista per il 2017).
Questo strumento, più efficace rispetto allo scambio automatico di informazioni a cui anche la Svizzera dovrebbe presto adeguarsi qualora chiudesse uno specifico accordo in via di definizione con le istituzioni europee, farà sì che la platea dei contribuenti italiani che potrebbero potenzialmente decidere di accedere alla procedura di voluntary disclosure risulti molto allargata dal momento che la maggior parte dei grandi evasore detiene in Svizzera i propri capitali non dichiarati al Fisco.

Sanzioni e penalizzazioni
In base all’accordo fiscale firmato con l’Italia, la Svizzera esce dai Paesi classificati come "black list" e passa nei "white list", dal momento che la stipula dell’accordo avviene prima del 2 Marzo 2015, il termine di 60 giorni fissato dalla legge sulla Voluntary Disclosure (L. 186/2014), entro il quale un paese considerato come paradiso fiscale (black list, appunto) può decidere di accordarsi con l’Italia per rivedere la propria normativa sullo scambio di informazioni. Ecco cosa cambia in termini di sanzioni, per i contribuenti con capitali illecitamente detenuti all’estero che decidono di regolarizzare la propria posizione, nei due casi:

  • Paese "black list" = 5% o 6%, a seconda degli anni dell’ammontare degli importi non dichiarati nel quadro RW della dichiarazione dei redditi;
  • Svizzera = 3% dell’ammontare degli importi non dichiarati nel quadro RW, anche su elementi riconducibili al periodo intercorrente fra la data di stipula e quella di entrata in vigore dell’accordo (molto probabilmente nel 2017, dopo la ratifica dell’accordo).

Capitali interessati
Il valore dei depositi accesi da contribuenti italiani presso istituti svizzeri è stimato a circa 130 miliardi dalle autorità bancarie italiane e a circa 100 miliardi da quelle svizzere. In questo capitali sarebbero compresi, ad esempio, anche gli 1,2 miliardi sequestrati alla famiglia Riva, che dovrebbero essere assegnati all’amministrazione straordinaria dell’Ilva di Taranto, per risanare il polo siderurgico pugliese.

I vantaggi prodotti dalle decisioni della Snb
La decisione di ieri della Swiss National Bank di abolire la soglia di cambio minima per il franco svizzero (1,20 contro l’euro) e di rendere così la moneta elvetica fluttuante, producendone un immediato rafforzamento, ha fatto sì che i franchi conservati nelle banche svizzeri, se fossero cambiati in euro, varrebbero oggi circa il 20% in più, rispetto alle quotazioni di qualche giorno fa. Ciò è di certo un ulteriore incentivo per il contribuente italiano non solo a dichiarare al fisco il capitale illecitamente nascosto ma anche a riportare in istituti di credito italiani quello stesso capitale.

Le banche svizzere
Uno dei principali nodi ancora da sciogliere è, a tal proposito, poprio la possibilità delle banche svizzere a poter operare in Italia. Nei giorni scorsi gli istituti di credito italiani si sono ribellati a questa possibilità, scatenando le reazioni delle istituzioni svizzere. Si attendono ora le decisioni della Banca d’Italia e della Consob in merito, dal momento che l’accordo fiscale firmato prevede che la questione non sia risolta nell’ambito dell’accordo fiscale che la Svizzera sta per firmare con l’Unione Europea ma che vengano sfruttati gli spazi di autonomia amministrativa per agevolare l’accesso di operatori bancari bancari stranieri, concessi a ogni singolo stato europeo.

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