L’importanza delle soft skill nell’era dell’AI

Dario Colombo

6 Giugno 2023 - 17:55

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Le soft skill caratterizzeranno il lavoro del futuro nell’era dell’AI? Lo abbiamo chiesto a Fausto Turco di MyDigit, che è un Ceo, ma anche un umanizzatore tecnologico.

L’importanza delle soft skill nell’era dell’AI

Con l’avvento dell’intelligenza artificiale le aziende pensano ad automatizzare i loro processi cercando di modificare la componente di interazione umana, ma nonostante l’AI possa essere utile per migliorare l’efficienza e la produttività, sono in molti a credere che le competenze umane, le soft skill rimarranno un elemento fondamentale.
L’AI cambierà il mondo, ma l’uomo dovrà avere un ruolo durante e dopo il cambiamento. Come? Valorizzando le soft skill.

In occasione di Conn@ctions ne abbiamo voluto parlare con Fausto Turco, Ceo di MyDigit, manager di lungo corso nel modo tecnologico (ha iniziato nel 1985) ed è anche presidente dell’Accademia dei Commercialisti.

Fausto Turco affronta da molti anni il tema del rapporto fra umani e tecnologia, da ancor prima che l’AI diventasse un fattore totalizzante e dominasse la scena del business e del lavoro del futuro.

Lei si definisce un umanizzatore della tecnologia. Le chiediamo quindi quali sono le principali skill per il lavoro del futuro che sanno tenere conto dell’influenza tecnologica, ma anche della componente umana?

Si, e ci tengo molto ad esserlo. Da tempo porto con me una frase che non è mia, ma me la sento quasi mia, “Il vero problema da risolvere non è tanto se le macchine siano capaci di pensare, quanto se gli uomini continueranno a farlo” dello psicologo B.F. Skinner, professore all’Università di Harvard dal 1958 al 1978.

Questo pensiero per me esprime l’interesse in cui gli esseri umani vogliono sviluppare la capacità di pensare, e come questa possa essere influenzata dalle macchine e dalla tecnologia o vogliamo governarla.

In entrambi i casi è una nostra scelta, quindi il futuro dipende sempre dall’uomo, indipendentemente dagli strumenti che usiamo quotidianamente, sempre diversi, che cambiano velocemente. A maggior ragione abbiamo bisogno di un’attitudine e di un approccio non solo tecnico, accademico, ma trasversale, responsabile e critico.

Proprio il mese scorso il World Economic Forum ha stilato una sua classifica con le 15 top skill dei lavori del futuro.
Sono, in ordine: pensiero analitico; pensiero creativo; resilienza, flessibilità e agilità; motivazione e consapevolezza di sé; curiosità e apprendimento continuo; alfabetizzazione tecnologica; affidabilità e attenzione ai dettagli; empatia e ascolto attivo; leadership e influenza sociale; controllo della qualità; pensiero sistemico; gestione dei talenti; orientamento al servizio e servizio al cliente; gestione delle risorse e delle operazioni; AI e big data.

Come si vede, un contesto in cui predominano le soft skill.
Allora ho voluto chiedere a ChatGPT: “Perché servono le soft skill nell’AI”? E la sua risposta è stata: per comunicazione e collaborazione, per il pensiero critico, per etica e responsabilità, per adattabilità e apprendimento continuo, per creatività e pensiero laterale.

In sintesi, le soft skill sono indispensabili nell’AI perché consentono di comunicare efficacemente, pensare in modo critico, agire in modo etico, adattarsi ai cambiamenti e stimolare l’innovazione.
Alla fine, sono attitudini, approcci, come dicevo all’inizio, e dipende da noi se li vogliamo adottare. Senza trascurare la gentilezza, come grande motore della trasformazione digitale. Proviamo a pensare all’empatia come a un muscolo, che come tale va allenato.
Non basta essere all’avanguardia dal punto di vista operativo, bisogna esserlo anche dal punto di vista umano.

Come presidente dell’Accademia dei Commercialisti, che sono professionisti che fondano sulla gestione delle relazioni i propri Studi. Come sta cambiando questa professione sotto l’effetto del digitale?

Come professionista il ruolo non è mai stato più rilevante o importante, hanno la responsabilità nei confronti dei loro clienti/aziende di creare fiducia e garantire che vi siano informazioni affidabili e di qualità che le parti interessate possano utilizzare per prendere decisioni.

L’ambiente imprenditoriale continua a cambiare, e sotto la spinta della competitività, dell’innovazione del PNRR, le aziende stanno correndo e gli studi devono accelerare e adottare misure per adeguarsi implementando nuove tecnologie, come l’AI, e migliorando le competenze per soddisfare le nuove esigenze del mercato.

Gli studi devono correre per evitare di andare a due velocità diverse. È un momento molto delicato per gli studi professionali, gli anni che verranno non saranno dedicati ad una trasformazione degli Studi Professionali, dovranno cambiare non trasformare, per molteplici motivi

Poi c’è il tema del recruiting dei talenti. Le nuove generazioni sono sensibili alle nuove tecnologie e attratti dell’AI, ma la professione del commercialista e degli studi professionali è vista come una professione “vecchia in declino”, e quindi poco attraente alle nuove generazioni, ci sono sempre meno iscritti negli ordini professionali. Sembra strano a dirsi, ma gli studi professionali hanno bisogno di nuovo personale di un cambio generazionale. Come in Italia esiste il problema della natalità per il mondo del lavoro dei prossimi decenni, gli studi devono cambiare vestito e cambiare mindset.

Formazione orientate alle nuove tecnologie non come specialisti, ma come supporto a nuovi modelli di business e non solo alle normative, e qui c’è una mancanza di cultura, gli studi hanno un approccio di costo e non di investimento nei confronti della tecnologia, la formazione ancora tutt’oggi.

L’AI non va confusa come una delle varie forme di tecnologia digitale: l’AI nasce digitale. Mentre gli Studi più evoluti hanno digitalizzato alcuni processi, sposandosi nel cloud, ma sempre con un’azione finalizzata a un processo, l’AI impatterà sul modo di pensare, di lavorare e dell’ offerta: questa differenza è bene sottolinearla altrimenti passeremmo un messaggio come un’altra novità semplice innovazione tecnologica. Invece l’AI cambierà profondamente il DNA di uno studio professionale, passando da servizi di output a servizi di consulenza sui dati, come un CFO strategico a supporto delle Pmi.

L’intelligenza artificiale, aiuterà a spingere in avanti la professione contabile, ma è solo una parte del lavoro e non può sostituire il giudizio e l’esperienza dei revisori contabili sui dati, revisori umani.

In questa grande ridefinizione del business e del lavoro l’intelligenza artificiale ha un ruolo centrale. Sarà totalizzante, dominante (decide lei, insomma) o può essere guidata, o imbrigliata, con regole, che sappiano però resistere al futuro?

Il business è fatto di idee, di creatività, di informazioni e di tanti altri fattori, ma soprattutto di decisioni, come in politica, che rimane il ruolo centrale e responsabile di ogni attività. Il problema è se vogliamo lasciare la decisione all’intelligenza artificiale, ha a che fare con l’etica umana. Sarà dominante se la lasciamo fare. Sarà integrante se useremo la sua velocità di ricerca e di sviluppo per usare meglio la nostra proprietà cognitiva, dove prima di decidere, dobbiamo validare il risultato utilizzando un pensiero critico.

È difficile imbrigliare con regole, la tecnologia, ed è difficile parlare di etica globale:
L’AI impatterà a livello globale non solo su alcune popolazioni, sarà trasversale e accessibile a tutte economie, ma l’etica ha confini, popoli, storie e culture diverse. Il problema sarà principalmente geopolitico, come facciamo a sederci al tavolo per discutere di regole con governi totalitari, diversi da quelli capitalistici ed occidentali. Già ora Google è diverso in alcuni paesi da quello che usiamo noi in Italia, sarà molto difficile, ma è una sfida ed un problema che va affrontato.

L’Europa come ha fatto con il GDPR che poi è stato preso come esempio globale, e che molti stati e Big Tech prendono come riferimento, se lo sta chiedendo da circa due anni e ha scritto il documento AI Act che ha il compito di accompagnare l’innovazione tecnologica impedendo che diventi un discriminante, che diventi invece uno strumento di promozione dei diritti e delle libertà, per il benessere di tutti. Si tratterebbe della prima norma al mondo volta a regolamentare l’intelligenza artificiale.

Voglio concludere un argomento che ha dei risvolti e sfumature laiche, ma prendo in prestito le parole del Santo Padre: “non tutto ciò che tecnicamente possibile o fattibile è perciò stesso eticamente accettabile”.

Il nostro compito e/o di chi governa gli stati e la tecnologia è quello di evitare che il business del futuro sia dominante ed a vantaggio solo di pochi, aggiungendo nuove disuguaglianze basate sulla conoscenza, sulla disponibilità, sull’accessibilità ed aumentando il divario tra popolazioni tra i ricchi ed i poveri.

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