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Forexinfo intervista Sergio Rossi: introdurre il reddito di cittadinanza in Italia? Rischi e vantaggi
venerdì 10 maggio 2013, di
Forexinfo intervista Sergio Rossi, professore ordinario di macroeconomia ed economia monetaria all’Università di Friburgo (Svizzera).
Qualche giorno fa abbiamo pubblicato un articolo in cui si parlava della possibilità di introdurre il reddito di cittadinanza in Svizzera e abbiamo riportato le parole di scetticismo del prof. Rossi.
Lo abbiamo intervistato a tal riguardo e non solo.
Ecco le sue risposte.
1) Per quanto riguarda il tema del reddito di cittadinanza che potrebbe vedere la luce tramite un referendum in Svizzera, quali pensa siano i rischi maggiori? Pensa che ci sarebbero più vantaggi o più svantaggi da una soluzione del genere?
R. Il reddito di cittadinanza è un’idea interessante sul piano concettuale, ma implica vari problemi da risolvere praticamente. Anzitutto, è necessario identificare le fonti da cui provengono i finanziamenti, su cui ci deve essere un consenso popolare molto ampio, non soltanto sul piano politico. Il reddito di cittadinanza, infatti, sostituirebbe la quasi totalità delle assicurazioni sociali, come le pensioni e i sussidi versati alle persone che sono disoccupate. Esso potrebbe inoltre richiedere un aumento del carico fiscale per le persone e le imprese, per garantirne la sostenibilità finanziaria nel tempo. L’importo di questo reddito non dovrebbe essere inferiore a ciò che si reputa essere il minimo vitale, per evitare delle situazioni di indigenza delle persone che, per motivi diversi, non sono in grado di lavorare. Il reddito di cittadinanza non dovrebbe tuttavia superare una certa soglia, per evitare un calo della produzione nel caso in cui molte persone scegliessero di non lavorare. Si tratta inoltre di decidere quali sono le categorie poste al beneficio di un tale reddito, per evitare dei fenomeni migratori che potrebbero compromettere nel lungo periodo la sua sostenibilità finanziaria. I rischi al riguardo sono pure di natura culturale, nel senso che la popolazione non ha verosimilmente ancora maturato l’idea che si possa separare la percezione di un reddito dal lavoro svolto per ricevere una remunerazione da spendere per la propria sussistenza. I vantaggi e gli svantaggi del reddito di cittadinanza dipendono dunque, in ultima analisi, dall’etica delle persone che lo ricevono e di coloro che devono finanziarlo attraverso le imposte. Si tratta, in sostanza, di un nuovo modello di società e come tale va analizzato e valutato considerando l’insieme delle implicazioni che un reddito di cittadinanza potrebbe avere per la stabilità socio-economica nazionale.
2) Potrebbe essere una proposta da prendere in considerazione anche per l’Italia o si tratterebbe solo di una pura illusione?
R. La proposta di un reddito di cittadinanza dovrebbe essere analizzata attentamente anche in Italia, a maggior ragione in quanto essa permetterebbe di ridurre i costi della pubblica amministrazione, dato che non occorrerebbero più tutti quei funzionari di cui lo Stato in Italia, come altrove, necessita per erogare le prestazioni sociali, verificare che non siano commessi abusi, e sanzionare chi – come i “falsi invalidi” – abusa di queste prestazioni. Invece del reddito di cittadinanza, l’Italia potrebbe anche considerare di concedere alle persone un credito di imposta, per esempio di 25’000 euro l’anno, quale riconoscimento di un reddito minimo garantito: le persone il cui reddito è inferiore a questo importo non pagherebbero le tasse e riceverebbero la differenza dallo Stato, mentre le persone il cui reddito supera l’ammontare del credito di imposta pagherebbero le tasse solo sul reddito che supera questa soglia. In questo caso, tuttavia, sarebbe ancora necessario accertare il reddito delle persone, allo scopo di evitare il fenomeno della evasione, o della elusione, fiscale – che in Italia è sia una causa sia una conseguenza dell’elevata pressione fiscale, in particolare sui redditi da lavoro dipendente, e che rappresenta una barriera, anche sul piano psicologico, agli investimenti produttivi nel campo imprenditoriale di ogni sorta.
3) Che cosa pensa di un eventuale abbandono dell’euro? L’Italia potrebbe tornare alla lira senza troppi effetti collaterali?
R. I costi, sul piano economico e sociale, di un ritorno alla moneta nazionale per un Paese come l’Italia potrebbero essere insopportabili, perché la ritrovata sovranità monetaria, in particolare per quanto riguarda il saggio di cambio della lira, non sarebbe sufficiente per imprimere una svolta risolutoria alla crisi attuale. La svalutazione della lira nei confronti delle monete principali sul piano mondiale avrebbe degli effetti positivi soltanto a breve termine per l’economia italiana, di fronte alla carenza di “competitività” delle piccole e medie imprese che negli scorsi decenni non hanno investito molto nelle loro capacità di produzione. Il forte e prolungato aumento dei prezzi in Italia, a seguito del ritorno della lira, non potrebbe essere compensato da un aumento dei salari dei lavoratori dipendenti, il cui potere di acquisto sarebbe dunque corroso dall’inflazione. Sia le spese di consumo sia gli investimenti nell’economia italiana diminuirebbero notevolmente, non da ultimo perché la Banca d’Italia sarebbe indotta ad aumentare i tassi di interesse nel tentativo di contenere il rincaro. Di conseguenza, aumenterebbe anche il disavanzo pubblico, senza del resto poter essere sufficientemente finanziato dalla politica monetaria espansiva, alla luce dell’indipendenza di cui godono le banche centrali rispetto alle autorità politiche e governative nella maggior parte dei Paesi occidentali.
4) La disoccupazione in Italia e in tutta la zona euro non cessa a diminuire. Che cosa potrebbe fare di concreto il nuovo governo italiano per invertire la rotta?
R. La disoccupazione in Italia come in molti altri Paesi della zona euro è ormai il problema più grave e urgente da affrontare, anche perché le politiche di austerità hanno aggravato, invece di attenuare, questo problema negli ultimi due anni. La soluzione non può essere trovata sul piano nazionale, date le circostanze e gli assetti istituzionali, ma deve essere cercata, negoziata e poi attuata sul piano comunitario, coinvolgendo gli altri Paesi nella zona euro, se non l’intera Unione europea. Anzitutto, è necessario capire le cause della crisi in Eurolandia: si tratta di una crisi della bilancia dei pagamenti, con dei Paesi che hanno accumulato dei disavanzi enormi e crescenti nelle loro partite correnti, penso in particolare alla Spagna e alla Francia, mentre altri Paesi, tra cui la Germania continua a svettare, hanno registrato degli avanzi commerciali impressionanti e problematici per la stabilità economica e finanziaria della zona euro nel suo insieme. A Enrico Letta, che ho avuto il piacere di conoscere personalmente durante il primo Forum per il dialogo tra la Svizzera e l’Italia, tenutosi a Roma nel gennaio scorso, suggerisco quindi di ragionare a livello comunitario, per riunire una massa critica di nazioni all’interno di Eurolandia che siano d’accordo di approfondire e poi concretizzare tre proposte di riforma istituzionale: modificare il prelievo fiscale per ridurre le tasse sul lavoro e rilanciare l’occupazione sia sul lato dell’offerta sia su quello della domanda; trasferire delle competenze fiscali dalle nazioni all’Unione Europea, per finanziare un bilancio comunitario che rappresenti non l’uno per cento, come ora, ma almeno il 10 per cento del prodotto interno lordo di tutta l’Unione, creando dei meccanismi perequativi come esistono in Svizzera, allo scopo di ridurre le disparità di reddito pro-capite tra le economie nazionali; emettere delle euro-obbligazioni attraverso il Meccanismo di stabilità europeo, con cui raccogliere l’ampio risparmio disponibile dentro e fuori la zona euro, permettendo pure alla Banca centrale europea di accettare queste euro-obbligazioni nelle operazioni di rifinanziamento delle banche in Eurolandia. Avevo proposto queste riforme durante una tavola rotonda che si era tenuta a Parigi nell’ambito della campagna presidenziale di François Hollande, ma il progetto di creare gli Stati Uniti d’Europa deve raccogliere l’adesione entusiasta della maggioranza, se non della totalità, dei grandi Paesi, per sperare che si realizzi prima di una grande depressione stile anni Trenta del secolo scorso. Il prolungamento dei piani di austerità già annunciati, però, non lascia presagire nulla di buono per i prossimi anni nel Vecchio continente.