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Elezioni 2013 tra tasse e debito: dove sono le proposte per ridurre la spesa pubblica?

lunedì 14 gennaio 2013, di Valentina Pennacchio

Un altro giorno depennato sul calendario elettorale, mancano 41 giorni al 24 febbraio. Nel vivo della campagna elettorale, tra la richiesta dell’Agcom di tutelare la par condicio, gli show e le ospitate televisive, la presentazione delle liste e le polemiche sui simboli cloni, ciò che rimane al centro dell’interesse dell’elettorato è l’atteggiamento che il nuovo governo adotterà rispetto alle tasse e al debito. Dove sono le proposte per ridurre la spesa pubblica? A parte fare dell’IMU il proprio cavallo di battaglia, cosa ne è delle altre tasse? Dopo le stangate del 2012 cosa ci attende? Questo sembra essere un campo minato in cui ci si inoltra con difficoltà, onde rischiare di perdere voti, proprio ora che i sondaggi sono in fermento.

Lo studio di Civicum e del Politecnico di Milano

Chi conosce il bilancio dello Stato italiano? Sembra nessuno, tantomeno l’elettorato. Oltre le promesse, i partiti sembrano confusi rispetto a tasse e debito, il terreno su cui si gioca la partita decisiva, sia perché si parla dell’essenza della sovranità, sia perché il debito si traduce in tasse immediate e differite. Dopo la crisi e i sacrifici chiesti agli italiani, forse bisognerebbe fare il punto della situazione. Onestamente.

L’Associazione Civicum e il Politecnico di Milano hanno cercato di far luce su queste ombre al fine di testare la credibilità dei programmi politici e dei loro effetti sull’economia reale, perché “siamo tutti azionisti dello Stato, ma lo Stato è l’unica società che non dà rendiconti interpretabili” ha dichiarato il Presidente di Civicum, Federico Sassoli de Bianchi.

Nel 2010 ogni italiano ha dovuto pagare 1.143 euro di interessi sul debito pubblico, lo sapevate? Lo Stato italiano ha prelevato 11.860 euro dai cittadini (attraverso le tasse) e ne ha spesi 12.965 per servizi pubblici e welfare, trasformando la differenza di 1.105 euro in ulteriore debito. Tuttavia il sostegno alle famiglie, ai disoccupati e all’istruzione risulta tra i più bassi d’Europa. La situazione da allora ha subito poche variazioni. Qualcosa non funziona.

E’ possibile diminuire le tasse?

Alberto Bisin noto economista ed editorialista per Repubblica ha analizzato la questione. Come uscire dal circolo vizioso che parte dai sacrifici e le tasse e arriva alla contrazione dei consumi reali e alla recessione economica? La riduzione delle tasse non può essere finanziata a debito e prevede un’altrettanta diminuzione della spesa pubblica. Cosa propongono i partiti?

  • il PDL di Berlusconi promette meno tasse, la diminuzione dell’IMU, ma non è chiaro sulla spesa pubblica;
  • il PD di Bersani propone una patrimoniale per una ripartizione più equa, ma i dubbi sono molteplici;
  • Mario Monti, pur essendo un economista, non propone un programma di politica economica lineare nella sua agenda. Il suo governo è stato caratterizzato da un “necessario” aggravio fiscale, che potrebbe scemare qualora si presentassero le possibilità. O almeno così ha dichiarato.

La pressione fiscale in Italia è pari al 45%, la più alta tra i paesi Ocse. Il fiscal drag degli ultimi decenni ha colpito pesantemente le tasche degli italiani ed è stato arginato, o meglio aggirato, da misure eccezionali promosse dai vari governi che si sono succeduti. Ciò ha generato solo disordine e incoerenza nel sistema fiscale, che non è stato mai razionalizzato o riformato.

Bisin propone di ridurre le tasse sui redditi, soprattutto quelli medio-bassi, attraverso:

  • diminuzione dell’Irpef e, di conseguenza, degli effetti distorsivi che ha prodotto sul mercato del lavoro;
  • diminuzione o eliminazione dell’Irap.

E la patrimoniale? Secondo l’economista sarebbe un errore ricorrervi nella retorica elettorale (lo slogan “tassare i ricchi” ha sempre un certo seguito) e utilizzarla come strategia per non incidere su quella spesa pubblica che, invece, va tagliata in maniera sostanziale e permanente. Meglio ridurre l’accesso ai servizi pubblici delle fasce con reddito elevato, piuttosto che aumentare nei loro confronti la pressione fiscale diretta o indiretta. Tuttavia i partiti sembrano ancora confusi.

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