Quanto spende l’Italia per la violenza di genere

Giorgia Bonamoneta

23/11/2023

23/11/2023 - 20:35

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La violenza di genere e contro le donne ha un costo, ma l’Italia non spende abbastanza in prevenzione e contrasto. Ecco i numeri.

Quanto spende l’Italia per la violenza di genere

Siamo il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che più non hanno voce” e più non hanno fondi. Se si parla di numeri, parallelo ai femminicidi (dal 1° gennaio al 19 novembre sono 106 le vittime) non si può fare a meno di parlare dei numeri della prevenzione. Sono gli interventi preventivi, e non quelli punitivi su cui continuano a concentrarsi i politici governo dopo governo, quelli che permettono di non contare l’ennesima vittima.

Sono proprio questi numeri che inquadrano il reale interesse di un governo a fare la differenza tra la vita e la morte, oltre alla recita a favore di camera che dura il tempo di un nuovo argomento caldo. Il governo Meloni, che in molte (femminile sovraesteso non casuale) credevano essere una presidenza a favore di donna, non ha fatto grandi mosse. Almeno non in positivo. Nel 2023 Meloni e co. hanno tagliato il 70% dei fondi per la prevenzione alla violenza contro le donne.

Non che i numeri suggerissero una diminuzione del fenomeno; basti pensare che nel 2021 quasi 60% delle donne vittime di omicidio è stata uccisa per mano di un partner o ex partner, numero che sale all’84% se si considerato i parenti. Nel 2019 il numero era pari a 101, mentre nel 2020 era di 106 (dati Istat e ministero dell’Interno). Un ritmo stabile e che palesa un’ulteriore verità: le donne sono quasi sempre uccise da qualcuno a loro vicino.

La spesa sulla prevenzione continua quindi a essere una priorità e i 5 milioni stanziati per il 2023 sono chiaramente insufficienti.

Quanto spende l’Italia per la protezione delle donne?

La notizia, emersa in particolar modo dopo la morte di Giulia Cecchettin, è che il governo Meloni ha tagliato i fondi per la prevenzione della violenza contro le donne del 70%. In numeri questo significa che dai 17 milioni di euro previsti per il 2022 (governo Draghi), si è passati ad appena 5 milioni di euro per il 2023.

Un dato allarmante e che posiziona l’Italia quanto più distante possibile dalle indicazioni della Convenzione di Istanbul, che invece prevede tra le pratiche da attuare per la violenza di genere proprio la prevenzione. In che modo? Non attraverso la punizione, che non fa altro che mettere la parola “giustizia” sull’ennesima bara, ma promuovendo un cambiamento socioculturale destinato alle radici della violenza di genere.

Il problema dei fondi è più intricato, infatti solo una parte è disposta per la prevenzione. Tra il 2020 e il 2023, sono stati spesi (su un totale di 248,8 milioni di euro) il 7% al potenziamento del sistema antiviolenza, l’81% alla protezione delle donne e solo il 12% alla prevenzione della violenza. La prevenzione è stata e continua a essere non una priorità e si può sospettare un motivo: non ci si può vantare subito del risultato, perché la prevenzione e l’educazione danno riscontro nel medio-lungo periodo.

Quanto costa la violenza di genere in Italia?

In assenza di prevenzione, la violenza di genere ha un costo alto per il Paese. L’economista Azzurra Rinaldi ha fatto due conti e messo insieme dei dati. Secondo le Nazioni Unite infatti la violenza di genere ha un costo del 2% del Pil mondiale, ovvero circa 1.500 miliardi di dollari (il prodotto interno lordo del Canada per usare il confronto d’impatto di Rinaldi). In Europa il costo si aggira intorno ai 366 miliardi di dollari, soldi spesi per servizi legati all’impatto fisico ed emotivo della violenza, per i servizi di giustizia penale e per la perdita di produzione economica derivante dalla violenza di genere.

In Italia il costo ammonta a oltre 39 miliardi di euro. I costi diretti prevedono (spesa media) circa 460 milioni in costi sanitari, 158 milioni in consulenze psicologiche, 44 milioni in farmaci, 235 milioni in ordine pubblico, 421 milioni per i costi giudiziari, 290 milioni per le spese legali e ancora 154 milioni per i sevizi sociali e 8 milioni per i centri antiviolenza. Cifre considerevoli e che continuiamo a spendere per il “troppo tardi”, ovvero quando i reati sono stati già commessi. Potrebbero, sinceramente, essere spesi in modi migliori, per esempio investendo nell’educazione alla sessualità e in programmi di educazione e prevenzione degli adulti, oltre al finanziamento di servizi alla persona.

Cosa fa l’Italia contro la violenza di genere?

L’Italia quando e se si attiva lo fa il ritardo e non può che agire sulla punizione. Si sperava (anche se timidamente, vista la matrice del governo) che la prima presidente del Consiglio (facendo finta che non abbia chiesto di farsi chiamare al maschile) potesse fare la differenza nei numeri delle vittime di violenza di genere. Invece non è così e anzi ci troviamo di fronte a una serie di scelte di facciata e nella pratica inutili.

A seguito di casi di cronaca che hanno fatto il giro d’Italia, il ministro dell’Istruzione e del Merito ha annunciato un programma di “Educazione alle relazioni”. Una grande promessa, che simula una risposta a chi dal basso chiede l’educazione alla sessualità, ma che si infrange contro la sua stessa struttura: un’ora di incontri a settimana, per tre mesi l’anno, non obbligatori, fuori dall’orario di lezione. Un successo garantito insomma, al quale si aggiunge il coordinatore del pool di psicologi e giuristi, ovvero Alessandro Amadori che nei libri “La guerra dei sessi” e “Il diavolo è (anche) donna” spiega come le donne siano cattive e a volte violente.

Lo scorso febbraio Giorgia Meloni aveva annunciato una Commissione per i femminicidi, ben 36 componenti e 5 riunioni dopo, nessun documento è stato ancora prodotto. Le illusioni del governo Meloni non finiscono qui, forse il fondo del barile è l’iniziativa del ministro della Giustizia Nordio, che come forma di rieducazione è pronto a preparare un “opuscolo con grafica comprensibile”. Siamo in una botte di ferro.

Ddl contro la violenza di genere: una non-soluzione

Il ddl Roccella, ovvero il disegno di legge contro la violenza di genere, è diventato legge con il voto unanime del Senato. Questo propone misure contro la violenza e i femminicidi, ma lo fa puntando sulla punizione e non sulla prevenzione.

Nei 19 articoli si possono scorgere misure come:

  • arresto in flagranza differita, quando il reato emerge da foto e video;
  • aumento delle pene per i reati di stalking, molestie e violenza sessuale;
  • braccialetto elettronico, con la condanna in carcere se manomesso;
  • risarcimento per la vittima o i famigliari;
  • distanza minima di 500 metri dai luoghi frequentati dalla vittima.

Cosa manca? La prevenzione. Il ddl Roccella punisce, ma non previene il reato. Così all’ennesimo minuto di silenzio, forse avremo una persona in più in carcere, ma anche una vittima in più sotto terra. Un commento positivo arriva da Francesco Boccia, presidente dei senatori Pd, che è soddisfatto di aver ottenuto il finanziamento della formazione degli operatori sanitari e delle forze dell’ordine, ma soprattutto di una futura e rapida calendarizzazione per interventi sulla prevenzione e il contrasto alla violenza “in modo da arrivare a quella legge nazionale e a quelle misure condivise che hanno chiesto anche le studentesse e gli studenti al ministro Valditara oggi”.

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