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Riforma pensioni a settembre. Flessibilità in arrivo?

lunedì 1 luglio 2013, di Valentina Pennacchio

La riforma delle pensioni, come l’ha definita già qualcuno la controriforma, ci sarà. A settembre. Qualche settimana fa è stato reso noto che la Riforma Fornero ha generato un risparmio di 80 miliardi, stimato tra il 2012 e il 2021, rispetto alle precedenti riforme. Ma a che prezzo?

L’innalzamento dei requisiti per il trattamento pensionistico non è andato incontro alle esigenze delle imprese e dei lavoratori: i tempi si allungano, gli assegni si riducono e fioccano esodati. Bisogna intervenire. Il ministro Giovannini ha dichiarato che la Riforma Fornero:

“E’ una riforma nata prevedendo un contesto economico in crescita. Ma se non cresce il PIL, il sistema è in difficoltà”.

Flessibilità in arrivo?

Ma intervenire come? L’idea è ancora la stessa, la flessibilità. Con le pensioni flessibili: è possibile andare in pensione anticipata, ma pagando una penalizzazione. Allo stesso tempo, è possibile rimanere al lavoro, superando l’età pensionabile, ma guadagnando un assegno pensionistico maggiorato (clicca qui per sapere come potrebbe funzionare la flessibilità). La possibilità di scegliere quando andare in pensione, precisamente tra i 62 e i 70 anni, vale per i lavoratori che hanno maturato 35 anni di contributi.

A questa ipotesi si aggiunge la proposta per cui chi ha maturato 41 anni di contributi può andare in pensione senza penalizzazione e a prescindere dall’età anagrafica. Ciò darebbe “un riconoscimento ai lavoratori precoci, che hanno cioè cominciato a lavorare in giovane età svolgendo prevalentemente, per tutta la vita lavorativa, attività manuali ripetitive o faticose”, come ha riferito il presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano (PD).

L’ostacolo? Inutile anche dirlo, i conti pubblici. Il discorso è questo: le aziende e i lavoratori pagano un’aliquota del 33% sullo stipendio. Se la pensione anticipata non è seguita da nuove assunzioni, bisogna trovare una copertura aggiuntiva perché i saldi previdenziali peggiorano. Senza contare che agli assegni attuali già scarsi, bisognerebbe aggiungere ulteriori penalizzazioni, che non sarebbero affatto gradite. Si potrebbe vivere tutta la vita con un assegno pensionistico magari inferiore allo stipendio? Quanti accetterebbero?

E il contributo di solidarietà?

A questo quadro già piuttosto complicato si aggiunge una recente sentenza della Corte Costituzionale che ha giudicato incostituzionale tagliare le pensioni d’oro, eliminando la possibilità di un contributo di solidarietà sulle pensioni superiori ad una certa soglia.

La strada alternativa allora potrebbe essere un’aliquota aggiuntiva sulle cosiddette pensioni d’oro: assumendo come valori di riferimento assegni oltre i 90.000 euro lordi annui la misura interesserebbe una platea di 555.000 contribuenti italiani, ovvero l’1,35%.

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