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Renzi, il Jobs Act e la Germania: qual è la soluzione per l’Italia?

venerdì 5 settembre 2014, di Valentina Pennacchio

Dopo l’approvazione definitiva della prima parte del Jobs Act (contratti a termine e apprendistato), in commissione lavoro in Senato è ripreso l’esame del ddl del Governo Renzi con le misure volte al rilancio dell’occupazione che entro la fine di settembre dovrà (o meglio dovrebbe) essere approvata in prima istanza dal Senato.

Facciamo un breve riepilogo:

  • Cassa integrazione addio? In caso di cessazione di attività aziendale o di un solo ramo dell’impresa non scatterà più la cassa integrazione, a cui si potrà avere accesso "solo a seguito di esaurimento delle possibilità contrattuali di riduzione dell’orario di lavoro" (esempio il ricorso a ferie e banche ore);
  • Aspi. L’obiettivo è l’universalizzazione dell’ammortizzatore sociale introdotto dalla Fornero "con estensione ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa e con l’esclusione degli amministratori e sindaci", stabilendo prima dell’entrata a regime un periodo di prova, con risorse da definire. La durata verrà calcolata in ragione agli anni di lavoro del dipendente;
  • Agenzia nazionale per l’occupazione, vigilata dal ministero del Lavoro e partecipata da Stato, Regioni e Province autonome, vigilata dal ministero del Lavoro. Avrà competenza in ambito di Aspi, politiche attive e, in generale, di tutti i servizi per l’impiego;
  • Compenso orario minimo, in via sperimentale, "applicabile a tutti i rapporti di lavoro subordinato, previa consultazione delle parti sociali";
  • Maternità. Darvi più sostegno, estendendola a tutte le categorie di lavoratrici e garantendo un maggior work life balance per le donne;
  • Contratto a tutele crescenti. Dibattito aperto sull’art. 18: cancellarlo in favore di un’indennità, prevista in caso di licenziamento illegittimo e crescente in base all’anzianità di servizio (il reintegro resterebbe operativo solo per i casi di licenziamenti discriminatori) - "soluzione Ichino" - o congelarlo per i primi 3 anni di inserimento per poi ripristinare la possibilità del reintegro (soluzione Boeri-Garibaldi)?

La questione relativa all’art. 18 viene definita ancora una volta ideologica dal Premier, che spiega:

"i casi che vengono risolti sulla base dell’art. 18 sono circa 40mila e per l’80% finiscono con un accordo. Dei restanti 8000, solo 3000 circa vedono il lavoratore perdere. Quindi noi stiamo discutendo di un tema che riguarda 3000 persone l’anno in un paese che ha 60 milioni di abitanti. Il problema quindi non è l’art. 18, non lo è per me e non lo sarà".

Il modello tedesco

Forse ancor più dell’art. 18, la vera novità dell’era Renzi per il mercato del lavoro è un’altra:

"rendere il nostro mercato del lavoro come quello tedesco".

La Germania non è un nemico, ma un modello da seguire perché grazie alla Riforma Hartz ha affrontato meglio di qualunque altro Paese europeo la crisi economica. Con il tasso di disoccupazione più basso d’Europa, la Germania ha dimezzato il numero dei disoccupati in meno di 10 anni.

Alcuni numeri: se nel nostro Paese il tasso di disoccupazione è raddoppiato tra il 2007 e il 2013 (dal 6,1% al 12,2%), in Germania è diminuito dall’8,7% al 5,3% (sempre nello stesso periodo, dati Eurostat).

Sussidi, mini jobs, reddito di cittadinanza potrebbero essere gli elementi vincenti per la rinascita del mercato del lavoro italiano? Forse non è tutto ora quello che luccica...

Per approfondimenti:

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