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Parlamento, vendita dei seggi: quanto costa essere eletti?
giovedì 25 febbraio 2016, di
In Italia tutti coloro che vengono eletti nelle istituzioni locali e nazionali devono versare dei “contribuiti”, le cosiddette “erogazioni liberali”, per mantenere la propria candidatura: quanto costa essere eletti in Parlamento?
Tutti i partiti impongono ai propri candidati ed eletti una tassa sullo scranno in Parlamento, nei consigli regionali e nei comuni. Si tratta di una prassi ormai consolidata e regolata tramite statuti, atti notarili e contratti: l’eletto che “infrange le regole” e non versa la propria quota viene deferito alle “commissioni di garanzia” e non ricandidato alle prossime elezioni salvo conguaglio.
La vendita dei seggi, introdotta nel 2008 tramite Porcellum e liste bloccate, appare alquanto incostituzionale sia perchè permette il “commercio delle candidature” sia perchè i partiti pretendono di esentare dal Fisco i versamenti dei loro eletti. Ecco quanto pagano gli eletti al Parlamento per garantirsi la permanenza nelle Camere.
Parlamento: quanto costa essere eletti?
Con 150mila euro il Partito Democratico è quello che propone il seggio al prezzo più caro. Come funziona? Il candidato deve sottoscrivere due obbligazioni: una, tra 30 e 50mila euro, da versare alle federazioni entro il termine della legislatura, l’altra, di 1.500 euro, da indirizzare ogni mese alle casse del Nazareno. L’onorevole Giuditta Pini si colloca alla vetta del PD per aver versato nel 2013 un assegno da 58mila euro.
Nella classifica sulle “tasse sui seggi” la Lega si colloca al secondo posto: un seggio del Carroccio vale 145mila euro. L’impegno finanziario viene sancito davanti a un notaio: il documento firmato dalle parti vale sia come riconoscimento di “debito” che come titolo per l’emissione di un decreto ingiuntivo in caso di mancato pagamento.
Per quanto riguarda invece Forza Italia comprarsi lo scranno costa circa 70mila euro mentre gli eletti del M5S versano in totale 114mila euro. Tuttavia in quest’ultimo caso c’è una differenza notevole: gli altri candidati versano la quota al partito mentre i Cinque Stelle la restituisce allo Stato. Anche in questo caso si parla di “contributi volontari” che in realtà sono obblighi imposti dal regolamento di partito per cui, in caso di mancato versamento, è prevista l’espulsione.
Vendita dei seggi: incostituzionale?
La vendita dei seggi in Parlamento, permettendo un vero e proprio “commercio delle candidature”, può essere giudicata incostituzionale. In proposito l’ex tesoriere del Pdl Maurizio Bianconi ha affermato:
“Ho fatto l’avvocato per 40 anni, so benissimo che questa cosa di pretendere soldi per una candidatura rasenta l’estorsione. Molti poi girarono i soldi direttamente, so anche di qualche bischero che lo fece senza poi essere eletto”.
Di opinione contraria invece Antonio Misiani, tesoriere PD dal 2009 al 2013, che difende la vendita dei seggi in quanto con il Porcellum le campagne elettorali “vengono fatte solo dal partito, non dai singoli candidati. Per questo chiediamo loro di contribuire, come fanno gli altri partiti. È un impegno politico verso la comunità di cui l’eletto fa parte”.
Oltre al “commercio delle candidature” la vendita dei seggi appare incostituzionale anche per un altro fattore: la pretesa dei partiti di esentare dal Fisco i versamenti dei propri eletti mette in pericolo il corretto funzionamento della Democrazia italiana.