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Il debito pubblico italiano sale? Anche quello giapponese, ma loro se ne fregano. Ecco perchè
martedì 14 maggio 2013, di
La notizia è di oggi e di certo non farà vivere sonni tranquilli al nostro ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni.
È arrivato da poche settimane e già si ritrova a combattere con l’ultimo record negativo di casa nostra: il debito pubblico italiano nel mese di marzo ha raggiunto un nuovo massimo storico, attestandosi a quota 2.034,725 miliardi, una cifra da capogiro secondo quanto risulta dai dati diramati oggi dalla Banca d’Italia.
Un aumento di ben 17,1 miliardi rispetto a febbraio che di certo non aiuterà le già precarie finanze della nostra Nazione.
Le preoccupazioni sul debito pubblico italiano aumentano quindi e ad oggi il Governo non ha ancora capito come mettere un freno ad un’ascesa che diventa, di mese in mese, sempre più minacciosa.
Ma guardando all’estero sorge spontanea una domanda: è proprio necessario metterlo, questo freno?
Grazie alla nuova Abenomics, cioè la politica economica messa in atto dal nuovo premier nipponico Shinzo Abe, Tokyo ha visto crescere il proprio debito pubblico a dismisura e la cosa sembra importare poco ai vertici giapponesi che hanno tutta l’intenzione di continuare con il piano di espansione monetaria messo a punto dal nuovo governatore della BoJ, Haruhiko Kuroda.
I numeri giapponesi
Piano di espansione monetaria da 1.400 miliardi euro, target d’inflazione al 2% in 2 anni, svalutazione dello yen, 90 miliardi in più di spesa pubblica, maggiore circolazione di denaro e riforme strutturali.
Sono questi i 6 pilastri dell’Abenomics. Il tutto in barba ad un debito pubblico che ha raggiunto il 250% del PIL e ad un deficit che è arrivato alla quota record dell’11,5%.
Numeri che farebbero impallidire gli ideatori del trattato di Maastricht, creando loro non pochi squilibri psico-fisici.
Secondo gli scettici, a lungo termine, l’Abenomics provocherà più danni che altro, facendo salire ulteriormente il debito nipponico e mandando totalmente fuori controllo l’inflazione. Insomma c’è il rischio che questa politica crei più danni che altro, destabilizzando i mercati, facendo crescere i tassi sui titoli sovrani e causando anche ripercussioni negative sul lavoro e sulla vita dei cittadini.
Il Giappone però non è d’accordo e continua con la propria politica, snobbando totalmente la crescita del debito.
Perché loro possono farlo e noi no?
C’è un motivo fondamentale per cui i nipponici possono permettersi, allo stato attuale dei fatti, di ignorare il debito, mentre Roma deve starci molto, molto attenta.
Tokyo può contare su due garanzie fondamentali: la prima riguarda la sovranità monetaria. È la Bank of Japan a decidere quando e se stampare moneta, senza dover rendere conto ad altri, l’Italia invece deve stare e sottostare alle decisioni della BCE. In secondo luogo la proprietà del debito.
A differenza di quello italiano infatti, che è in mano a banche, gruppi assicurativi stranieri, fondi comuni europei e solo per metà al nostro Governo, il debito giapponese è di proprietà di cittadini ed investitori interni che ne detengono la quasi totalità.
Queste due garanzie permettono al Giappone di prendere le proprie decisioni in autonomia, ma anche di intervenire molto più tempestivamente nel caso la situazione precipitasse.
Questi, in sintesi, sono i motivi per cui loro possono fregarsene e noi no. Quale delle due condizioni e delle due politiche economiche è la migliore? Si vedrà dai risultati e dal tempo.