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Forexinfo intervista Graziella Bertocchi: Italia come Grecia? Perché le similitudini potrebbero farci preoccupare
venerdì 15 marzo 2013, di
Forexinfo intervista Graziella Bertocchi, Professore Ordinario di Economia Politica presso l’Università di Modena e Regio Emilia e Direttore del Centro di Ricerca RECent.
Abbiamo intervistato la professoressa sulle più recenti dinamiche del mondo economico e politico. Ecco cosa ci ha risposto.
1) Come pensate si sbloccherà l’attuale situazione di stallo politico dell’Italia?
R. In queste ore si stanno susseguendo svariate ipotesi, nessuna delle quali ancora ufficializzata. È evidente che l’atteggiamento di M5S sarà determinante, anche se i numeri che il movimento ha raggiunto in Parlamento non sono tali da garantire, come per esempio a Parma, una sua piena assunzione di responsabilità. Mentre a Parma il sindaco ha presentato un bilancio che potremmo definire “montiano”, nel senso che prende atto con tagli e imposte aggiuntive dell’effettivo squilibrio dei conti locali, non possiamo aspettarci un identico atteggiamento in Parlamento. Allo stato attuale, nel breve periodo sembra quindi più probabile un governo PD-PdL, politico o tecnico che sia, piuttosto che PD-M5S. Difficile comunque credere che possa durare a lungo. Nel medio periodo, lo scontro anche intergenerazionale rappresentato dal successo di M5S potrebbe ulteriormente accentuarsi, anche se paradossalmente una netta vittoria grillina potrebbe far sperare in un atteggiamento più responsabile, in quanto vincolato dal fatto di essere al governo, proprio come a Parma.
2) Con il loro voto gli Italiani hanno lanciato un chiaro segnale di cambiamento. Come sarebbe possibile secondo Lei trovare un compromesso tra austerità e crescita?
R. Austerità e crescita non sono necessariamente in contrapposizione. Occorre distinguere tra fasi diverse. In una fase di crisi acuta, come quella di fine 2011, l’emergenza dettava l’urgenza di misure efficaci di controllo dei conti pubblici, e quindi inevitabilmente di maggiori imposte, data la rigidità e lentezza di attuazione dei tagli di spesa. Il fine era quello di recuperare rapidamente credibilità di fronte ai creditori internazionali. Il governo Monti è riuscito nell’impresa. Non sono certamente la sola a ritenere che lo stesso governo Monti fosse ampiamente consapevole della necessità, e anche della attuabilità, di un allentamento della pressione fiscale in una fase, in cui stavamo finalmente entrando, di crisi cronica ma non più acuta. La possibilità di una riduzione delle aliquote IRPEF era stata concretamente esaminata, così come i primi ritocchi all’IMU erano già stati attuati. I tempi non hanno permesso ulteriori progressi in questa direzione. Il rischio della nuova fase di instabilità politica che si è aperta con il voto è che di nuovo si possa ripiombare in una fase acuta, con l’aggravante che la credibilità della capacità dell’Italia di esprimere per la seconda volta un governo in grado di controllare la dinamica del debito pubblico risulterebbe ancora più compromessa rispetto a fine 2011.
Da molte parti, anche da economisti di scuola relativamente “ortodossa”, sono state ormai avanzate critiche – molto pubblicizzate dalla stampa – alle politiche di austerità. Per esempio Paul De Grauwe della London School of Economics ha interpretato tali politiche come una reazione eccessiva al panico causato dallo spread crescente, mentre Olivier Blanchard del Fondo Monetario Internazionale ha dimostrato che in tempi di crisi l’effetto di una politica fiscale recessiva si aggrava, con il risultato che il rapporto debito/PIL potrebbe addirittura peggiorare a causa del calo del denominatore. Ambedue però sottolineano come queste considerazioni possano non valere in casi specifici. L’Italia di novembre 2011 rappresentava proprio uno di questi casi specifici, in cui considerazioni dettate dall’emergenza non potevano che prevalere su aspetti di medio e lungo periodo e in cui misure di austerità risultavano un passaggio obbligato per poi poter arrivare a misure di crescita. La conclusione è che solo a un governo stabile e credibile è permesso di scommettere sulla crescita come mezzo per diluire il rapporto debito/PIL.
3) Si parla molto in questo periodo di guerra valutaria. Ma è proprio così - e se sì - questa rappresenterebbe un vantaggio o uno svantaggio per l’economia globale?
R. La banca centrale del Giappone ha effettivamente lanciato un programma di espansione monetaria che comporterà un indebolimento dello yen e a un impulso all’export del Giappone. Non c’è dubbio che politiche di questo genere possano essere viste come una delle conseguenze dell’enorme espansione monetaria praticata ormai da anni dalla Fed americana, e ribadita recentemente nonostante crescenti voci di dissenso nell’ambito della stessa Fed. Non parlerei però di guerra valutaria, in quanto è ragionevole attribuire le scelte sia della Fed che del Giappone a scelte di politica economica interna a sostegno della domanda, più che a operazioni mirate a sfidare altre economie usando l’arma del tasso di cambio.
Di svalutazioni "competitive" l’Italia ha una notevole esperienza, in quanto la pratica era abituale nel nostro paese prima dell’euro. Tutti sanno che l’effetto di una simile pratica può essere benefico nel breve periodo, mentre nel medio e lungo periodo inevitabilmente emergono i problemi, in forma sia di costi diretti legati all’inflazione, sia di costi-opportunità indiretti determinati dalla mancata occasione di rimodernare e riformare la propria economia al fine di ripristinare una competitività reale piuttosto che illusoria.
Se si verificasse a livello mondiale una rincorsa alla svalutazione delle monete, gli effetti di cui sopra sarebbero enormemente amplificati. Anzi nel breve periodo i guadagni di chi svaluta per primo, in termini di quota del commercio internazionale, sarebbero compensati dalle perdite di chi segue, mentre nel medio e lungo periodo l’occasione sarebbe persa dal mondo intero.
4) Ci sono reali possibilità che la nostra economia finisca nel disastro come successo in Grecia?
R. Le probabilità che l’Italia finisca come la Grecia non sono nulle. Le similitudini non sono poche. Innanzitutto l’Italia, come la Grecia, ha un altissimo debito pubblico che porta instabilità sul piano direttamente economico perchè assoggetta qualunque politica fiscale interna agli umori dei mercati internazionali. Inoltre, in Italia come in Grecia si assiste a un deficit anche istituzionale, nel senso che le nostre istituzioni - intese in senso lato - sono più deboli e inefficienti di quelle del Nord Europa. Per istituzioni intendo la capacità di un paese di avere un sistema politico stabile, una giustizia che funziona, una burocrazia snella, una mobilità sociale basata sul merito, e così via.
Detto questo, tra Italia e Grecia ci sono anche enormi differenze: l’economia italiana, e in particolare il nostro settore manifatturiero, sono da sempre incomparabilmente più solidi di quelli della Grecia. Paradossalmente però questo vantaggio è un’arma a doppio taglio: se anche a causa dell’instabilità politica, o di un nuovo corso con politiche economiche populiste, l’Italia ripiombasse in una fase di crisi acuta, un salvataggio si rivelerebbe proibitivamente costoso. Sappiamo che mentre Monti era al governo l’intervento della BCE ha giocato un ruolo decisivo nella stabilizzazione della situazione dell’Italia. L’intervento avrà anche aiutato Monti, ma sarebbe stato attuato senza la pre-condizione di un recupero di credibilità ottenuto anche grazie alle politiche ora tanto bistrattate? E un intervento simile sarebbe nuovamente garantito di fronte a un governo incapace di prendere decisioni o, come accennavo sopra, deciso a implementare scelte insostenibili? Per concludere, il fatto che l’Italia non è la Grecia non può certamente di per sè garantirci che possiamo dormire sonni tranquilli.