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Fisco: nascono le separazioni fiscali. Quando ci si lascia per pagare meno tasse

lunedì 24 giugno 2013, di Vittoria Patanè

Secondo un’inchiesta diramata oggi da Repubblica, in Italia è in aumento il numero di coppie che decide di separarsi “per finta” allo scopo di pagare meno tasse.
La crisi fa anche questo, costringendo una coppia innamorata e navigata a rinunciare alla propria unione per riuscire ad arrivare alla fine del mese. Sono le separazioni 2.0 o, se preferite, le separazioni dell’austerity, figlie di una recessione che non accenna a fermarsi e che comincia a mettere in pericolo anche l’istituzione simbolo di ogni società: la famiglia.

Il Caso

Repubblica racconta la storia di Maria (nome fittizio) che dopo 25 anni di matrimonio e una figlia che testimonia l’amore che c’è stato tra i due coniugi, ha deciso di separarsi dal marito. E non perché ci fossero particolari problemi di coppia, ma perché il commercialista l’ha informata che se l’avesse fatto avrebbe potuto godere di un assegno sociale di 800 euro al mese per il marito e di sgravi fiscali superiori a 700 euro per la figlia a carico.

Per una coppia che prima portava a casa 1500 euro al mese, sono vantaggi non da poco.

I dati Istat

Secondo l’Istituto Nazionale di Statistica il numero delle separazioni in Italia sta crescendo in maniera costante: nel 1995 su 1.000 matrimoni 158 finivano con una separazione e 82 con un divorzio; nel 2011 su uno stesso target le separazioni passano a 311 e i divorzi a 182.

Quasi tutti scelgono poi la separazione consensuale (84,8%) perché costa meno e fa risparmiare fatica.

Difficile dire quante tra queste siano “separazioni fiscali”, ma i commercialisti hanno pochi dubbi e vedono nel fenomeno la rappresentazione pratica di una tendenza che vede nell’elusione l’unico modo per arrivare a fine mese.

La separazione fiscale: chi la fa?

Molto spesso a separarsi per cercare di pagare meno tasse sono coppie sposate da 15-20 anni che decino di fingere di non stare più insieme per avere qualche soldo in più in banca.

Di frequente la separazione mira ad ottenere l’assegno sociale che viene assegnato ad uno dei due coniugi: 800 euro fissi al mese che spesso, aiutano una famiglia fittiziamente separata a rinsaldare le proprie finanze.

Per non parlare poi dei risparmi riguardanti IMU e IRPEF nelle famiglie monoreddito: trasferire la residenza del coniuge nella seconda casa e risparmiare sull’imposta più odiata del Paese diventa facilissimo.

Ma separarsi comporta anche un abbassamento dell’Isee e agevolazioni su asili nido, mense scolastiche, ticket sanitari e tasse universitarie.

Insomma, nonostante le spese da sostenere per avvocati e burocrazia, a medio-lungo termine il risparmio c’è e si fa sentire. E allora c’è chi decide di rinunciare all’istituzione del matrimonio, ma non all’amore della propria vita, continuando a vivere nella stessa casa come se nulla fosse successo (in questo caso però, il pericolo controlli da parte del fisco diventa altissimo), chi invece sceglie di vivere in case differenti, ma di continuare ad amarsi comunque a distanza e chi infine, disperato, preferisce rinunciare al proprio sentimento pur di andare avanti.

La casistica è ampia e variegata. Ma ciò che è certo è che costringere una coppia a rinunciare alla propria felicità per arrivare alla fine del mese non è degno di una Nazione che voglia considerarsi tale.
Nel 2013 l’amore conta, ma il fisco è più importante.

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