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Di Maio apre al PD: opzione reale o soltanto un bluff?
mercoledì 4 aprile 2018, di
Ci ha pensato Luigi Di Maio ha rimescolare un po’ tutte le carte sul tavolo proprio a poche ore dall’inizio delle consultazioni. Ospite del programma di La7 DiMartedì, il leader del Movimento 5 Stelle ha infatti parlato del Partito Democratico come “primo interlocutore” per la formazione del prossimo governo.
Come una sorta di seconda scelta, l’aspirante premier ha citato la Lega che però nel caso dovrebbe staccarsi da Forza Italia dell’ingombrante Silvio Berlusconi. Quelle di Di Maio però sono state parole di reale apertura ai dem oppure si tratta solo di un bluff politico?
Di Maio ammicca al Partito Democratico
Come in una delicata partita a scacchi, Luigi Di Maio ha deciso di voler fare lui la prima mossa. Intervistato da Giovanni Floris durante il programma DiMartedì, il golden boy pentastellato ha esplicitato quale sarà la posizione del Movimento 5 Stelle in queste consultazioni appena iniziate.
L’intenzione è quella di ripetere anche da noi ciò che è appena successo in Germania, dove i socialdemocratici hanno accettato l’alleanza di governo con il CDU della Merkel dopo aver stilato assieme un preciso programma di governo.
Il papello programmatico poi è stato sottoposto agli iscritti del SPD che, in un Referendum, hanno a larga maggioranza deciso di accettare l’accordo di governo. Non è un caso che nelle scorse settimane si era parlato di ricorrere a una consultazione del genere anche all’interno del PD.
La linea di Di Maio quindi è questa: lui a Palazzo Chigi ma poi massima disponibilità nello scrivere assieme un programma di governo con tanto poi di spartizione dei ministeri. Un atteggiamento molto più accomodante rispetto alla maggiore rigidità sbandierata in campagna elettorale.
Il vero colpo di scena dell’intervista è stato però quando il leader dei 5 Stelle ha chiaramente detto che il loro primo interlocutore è il Partito Democratico senza Renzi, mentre in seconda battuta ci sarebbe la Lega senza Berlusconi.
Parole queste che comunque non dovrebbero nell’immediato smuovere le posizioni che i due partiti riferiranno a Mattarella. La Lega al momento non molla Berlusconi e il PD vuole stare all’opposizione.
Il Pd, coerentemente con le decisioni assunte in direzione, dirà al presidente Mattarella che non siamo disponibili ad alcun governo che abbia Di Maio o Salvini come premier. La proposta del leader 5 stelle è ovviamente irricevibile
— Andrea Marcucci (@AndreaMarcucci) 3 aprile 2018
Sia il capogruppo dem Andrea Marcucci con un cinguettio su Twitter che il leghista Giancarlo Giorgetti su Radio Capital, hanno infatti bollato come “irricevibile” la proposta fatta da Di Maio. Gli scenari però potrebbero cambiare rapidamente a patto che i grillini facciano sul serio.
Rischio bluff?
Durante la campagna elettorale Marco Rizzo, presidente del Partito Comunista, così parlò in un’intervista della proposta inserita nel programma elettorale del PD di un salario minimo: “Lo hanno scritto soltanto perché sanno di perdere e quindi di non doverlo realizzare”.
Allo stesso modo Luigi Di Maio nel salotto di Floris potrebbe aver teso la mano ai dem in modo ufficiale proprio perché, conscio della posizione di Renzi, è convinto che questa apertura verrà rispedita al mittente.
Questa sorta di appello può giovare in due modi ai 5 Stelle. Il primo è che, se dovesse partire un governo con la Lega, Di Maio potrebbe tenere calmo il suo elettorato di sinistra dicendo che lui ci ha provato a fare un governo con il PD, ma che sono stati loro a non volerlo quindi ecco che è stato necessario ricorrere alla seconda scelta.
Al tempo stesso, questo sasso lanciato nel tumultuoso stagno del Partito Democratico potrebbe accentuare le tensioni tra Matteo Renzi e la minoranza interna. Un PD ancora più debole potrebbe essere un facile terreno per sgraffignare altri voti a quello che una volta era il primo partito del paese.
Il pericolo per i dem è che possa nascere un grande dibattito interno con tanto di spaccatura, mentre dall’altra parte Di Maio con una mano continua a dirsi disponibile e con l’altra mette in tasca un accordo di governo già siglato con la Lega.
In questa partita dove tutti rimangono ben fermi sulle proprie posizioni prima o poi qualcuno dovrà cedere. Un mese dopo il voto del 4 marzo non si vedono grossi passi in avanti, con questo limbo che potrebbe di conseguenza durare ancora molto a lungo.