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Crisi: un piano di crescita globale è possibile?

sabato 11 maggio 2013, di Nadia Fusar Poli

Gli Stati Uniti, il Giappone, i paesi periferici della zona euro, il Regno Unito, la Francia, la Slovenia, Cipro e altri paesi stanno soffrendo a causa di un insufficiente livello di domanda aggregata.

La crescita economica è anemica, le recessioni si stanno progressivamente aggravando, il malessere e il disagio sociale si diffondono e il debito pubblico continua ad aumentare. In molti paesi il livello è già eccessivo e insostenibile (nonostante la confusione sull’interpretazione delle teorie causali di Reinhart e Rogoff).

Le ultime previsioni del FMI indicano che il deficit di bilancio (indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche) persisterà in tutti questi paesi almeno fino al 2018, ovvero per tutto il periodo di previsione del FMI. Secondo le stime del Fondo, molti stati (tra cui, ad esempio, la Spagna) saranno alle prese con un livello di deficit di bilancio pari al 5,6% del PIL nel 2018.

Se questi disavanzi saranno finanziati con nuovi titoli di Stato, il debito pubblico salirà e il rischio di ulteriori e ricorrenti crisi finanziarie rimarrà alto. In tale scenario e con le politiche in atto, gli elevati tassi di disoccupazione di questi paesi rimarranno sostanzialmente invariati sino al 2015 e, addirittura, il FMI prevede un aumento in alcuni di essi. La prospettiva della disoccupazione spagnola è la peggiore: il tasso di disoccupazione della Spagna dovrebbe raggiungere il 23% entro il 2018!

Un persistente mancanza di competitività a livello internazionale è un ulteriore fattore limitante della possibilità di crescita in seno ai paesi periferici. Oggi, in misura sempre crescente e inconfutabile, appare evidente che le politiche di austerità sono state inefficaci e, anzi, peggiorative. Le ultime previsioni del FMI, che si aggiungono all’analisi dei moltiplicatori di Blanchard e Leigh (2013) e a quella sugli effetti dell’austerità condotta da De Grauwe e Ji (2013), suggeriscono con forza che gli obiettivi di austerità non sono stati raggiunti. È probabile che gli effetti delle policihe di rigore siano infatti controproducenti.

La crescita continua ad indebolirsi mentre il debito pubblico continua ad aumentare. Rigidità salariali, mercato del lavoro cristallizzato, regolamenti, restrizioni e la mancanza di forti politiche di concorrenza sono tutte elementi chiave che hanno contribuito alla costruzione dell’attuale contesto macroeconomico.

Se mantenuta o "regolamentata" l’austerità, probabilmente, continuerà a produrre disavanzi ’cattivi’ con un ulteriore rallentamento della crescita, riducendo le entrate pubbliche, aumentando la spesa pubblica, e guidando le economie nella più profonda recessione. E non è tutto: sulla base delle prove disponibili, è possibile affermare che se uno solo paese rallentasse il ritmo con cui applica misure di austerity, questo sarebbe sufficiente a creare una ripresa economica.

Nella zona euro la fiducia e l’attività economica sono al collasso, e l’inflazione è scesa a circa il 1,2%. Tuttavia, se il quantitative easing andasse oltre, e si cercasse di abbassare il tasso dei titoli di Stato a lungo termine a zero, ci sarebbero dei rischi economici e finanziari molto rilevanti.

Vi è più di un motivo per essere preoccupati. I programmi congiunti di quantitative easing condotti da Giappone, Stati Uniti e Regno Unito, unitamente alle iniezioni di liquidità in Europa, hanno raggiunto una portata vasta e senza precedenti. Di conseguenza, se si continuasse con queste politiche, le riserve delle banche commerciali, i prezzi delle attività, delle case e delle materie prime, i prezzi di borsa e delle obbligazioni e i tassi di cambio dei paesi stranieri potrebbero essere destinati ad aumentare significativamente e su larga scala. Flussi di denaro e movimenti transfrontalieri di capitali aumenterebbero l’instabilità e si rischierebbe di assistere ad una pressione al ribasso sui tassi di interesse in tutto il mondo. Tendenze, peraltro, che sembrano già essere in corso. A beneficiarne saranno le banche, gli investitori, i commercianti, gli hedge funds e gli speculatori, i quali hanno una propensione marginale al consumo di beni e servizi ordinari molto bassa.

Con il quantitative easing, il nuovo denaro non entra nell’economia reale.
Un ulteriore allentamento quantitativo, come una ulteriore austerità, è altamente controproducente nel lungo periodo. E’ tempo che si apra e si sviluppi un serio dibattito su come cambiare corso. L’austerità e l’ulteriore quantitative easing permetteranno di raggiungere gli obiettivi? In caso affermativo, tali obiettivi potrebbero essere raggiunti senza la creazione di una nuova serie di instabilità? Dal momento che la risposta ad entrambe potrebbe rivelarsi negativa, potrebbe essere giunto il momento il caso di cambiare rotta, sterzando i una direzione diversa. Ma quali politiche macroeconomiche potrebbe rivelarsi realmente efficaci?

Alcuni economisti hanno chiesto un migliore coordinamento tra politiche monetarie e fiscali. Ma in quale misura? E sarà questo sufficiente a ripristinare la crescita senza aumentare ulteriormente il debito pubblico? C’è un modo per iniettare nuovo denaro nell’economia reale, piuttosto che altrove (istituti finanziari e speculatori in primis)? C’è un modo per migliorare la competitività internazionale?

Fonte: www.voxeu.org

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