Zona rossa: per un giudice non è reato uscire e dichiarare il falso

Isabella Policarpio

12/03/2021

12/03/2021 - 11:08

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Violare la zona rossa adducendo falsi motivi nell’autocertificazione non è reato perché i Dpcm sono illegittimi: ecco perché fa discutere la sentenza del tribunale di Reggio Emilia.

Zona rossa: per un giudice non è reato uscire e dichiarare il falso

Un giudice ha assolto una coppia finita in giudizio per Falsa attestazione, il reato commesso da chi dichiara informazioni false nell’autocertificazione consegnata alle Forze dell’ordine.

Gli imputati, infatti, avevano violato il divieto di uscire in zona rossa durante il primo lockdown, quando era in vigore il Dpcm dell’8 marzo 2020.

Tuttavia, secondo il giudice di merito, il reato non sussiste perché il decreto ministeriale è illegittimo.

Non è la prima volta che un giudice mette in discussione i Dpcm (dello stesso parere l’ordinanza del 16/12/20 del tribunale di Roma - ma stavolta si è trattato di una assoluzione piena per due trasgressori della zona rossa.

Zona rossa e autocertificazione falsa non è reato

Se il divieto non è valido non lo sono nemmeno gli aspetti sanzionatori. Questa è la motivazione che ha spinto il tribunale di Reggio Emilia (sentenza n. 54/2021) ad eliminare l’accusa di Falso, ex articolo 495 del Codice penale, nei confronti di una coppia che era stata sanzionata per due ragioni:

I due, fermati dai Carabinieri, avevano giustificato lo spostamento non consentito per “motivi di salute” del tutto inventati.

A questo punto è scattata la denuncia penale e il relativo processo, dal quale sono stati assolti perché “il fatto non costituisce reato”.

Infatti, secondo il giudice di merito, nessun cittadino può essere

”costretto a sottoscrivere un’autocertificazione incompatibile con lo stato di diritto del nostro Paese e dunque illegittima.”

Perché secondo il giudice i Dpcm sono illegittimi

Alla base della decisione il fatto che - per il giudice adito - i decreti del Presidente del consiglio sono illegittimi dato che impongono limitazioni di rango costituzionale: in particolare, il divieto di spostamento e l’obbligo di permanenza domiciliare.

Ai sensi dell’articolo 16 della Costituzione, questi possono essere limitati - per motivi di salute e sicurezza pubblica - soltanto per mezzo di una legge ordinaria e non di un Dpcm, che è un provvedimento amministrativo di rango inferiore.

La disputa sulla legittimità dei Dpcm è tutt’altro che risolta: da un lato ci sono giudici che li censurano - come nel caso in esame - ma ce ne sono altri che li difendono, sulla base del fatto che le restrizioni in essi contenute si “reggono” su decreti convertiti in legge dal Parlamento.

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