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Riforma pensioni: anche i sindacati dicono addio alla Legge Fornero
giovedì 19 aprile 2018, di
Mentre vanno avanti le trattative tra Centrodestra e Movimento 5 Stelle - con il Partito Democratico sullo sfondo - per cercare l’intesa per un Governo, anche la CGIL si schiera in favore di una nuova riforma delle pensioni che punti a superare strutturalmente l’impianto della Legge Fornero introducendo dei nuovi elementi di stabilità al fine di favorire giovani, donne, precoci gravosi.
I sindacati quindi si sono schierati in questa querelle riguardante la riforma delle pensioni, mettendosi dalla parte di coloro - Centrodestra e M5S su tutti - che vogliono una profonda revisione della Legge Fornero. Dall’altra parte invece si collocano i contrari a questa possibilità - come ad esempio la BCE e l’INPS - convinti del fatto che rivedere il sistema previdenziale italiano introducendo degli strumenti per la flessibilità in uscita potrebbe provocare un buco di bilancio.
La posizione della CGIL in merito ad una nuova riforma delle pensioni è stata svelata dal segretario confederale Roberto Ghiselli durante il convegno per la presentazione dello studio condotto dal sindacato - di concerto con la Fondazione Di Vittorio - su “I sistemi previdenziali in Europa”. Facendo un confronto tra i pensionati italiani e quelli europei, infatti, la CGIL si è resa conto che il meccanismo introdotto dalla riforma Fornero è tra i più penalizzanti d’Europa; ecco perché è fondamentale rivederlo. Ma come? Ecco qual è la loro posizione a riguardo.
Età pensionabile in Italia tra le più alte d’Europa
Come noto in Italia nel 2019 saranno necessari 67 anni d’età - più 20 di contributi - per la pensione di vecchiaia, complice l’adeguamento con l’incremento delle aspettative di vita rilevate dall’ISTAT.
Questo adeguamento d’ora in avanti sarà biennale come stabilito dalla Legge Fornero del 2011.
Facendo un confronto con gli altri sistemi previdenziali europei i lavoratori italiani sono tra i più penalizzati: basti pensare che in Germania solo nel 2029 l’età anagrafica per la pensione sarà innalzata a 67 anni, mentre in Spagna nel 2027 quando da noi saranno necessari invece 67 anni e 9 mesi.
Peggio dell’Italia solo la Grecia dove per andare in pensione è già richiesto il compimento dei 67 anni.
Condannato l’aggiornamento biennale del calcolo contributivo
Un altro aspetto che secondo la CGIL - come confermato dal responsabile dell’Ufficio previdenza pubblica Ezio Cigna - va riformato è quello che prevede l’aggiornamento biennale dei coefficienti di trasformazione, i parametri utilizzati dall’INPS per il calcolo della pensione con sistema contributivo.
In questo modo, infatti, si penalizzano ulteriormente i lavoratori italiani ai quali non viene garantita una pensione sufficiente per vivere. Ciò è confermato anche dagli ultimi rilevamenti effettuati dall’INPS, secondo il quale in Italia il 70% delle pensioni è di importo inferiore ai 1.000€.
C’è da dire però che la scelta dell’Italia di dotarsi di un sistema previdenziale particolarmente rigido non è immotivata. Infatti ci sono da considerare diversi fattori, quali ad esempio il rallentamento della crescita delle retribuzioni, l’aumento del tasso di disoccupazione e la modifica alla struttura demografica attuale e previsionale.
Nonostante ciò urge una soluzione per tutelare maggiormente i lavoratori di oggi e i pensionati di domani; una di queste potrebbe essere incentivare la previdenza complementare.
L’importanza della previdenza complementare
Le differenze con gli altri Paesi europei però non si fermano ad età pensionabile e metodo di calcolo.
In Italia infatti c’è anche uno scarso ricorso alla previdenza complementare facendo sì che la spesa previdenziale incida maggiormente sulla spesa pubblica.
Meno del 30% dei lavoratori italiani ha aderito ad un fondo di previdenza complementare, a differenza di Paesi come il Regno Unito dove è il secondo pilastro a prevalere sul primo.
Solo promuovendo la previdenza complementare si potrà dare un maggior sostegno alla previdenza pubblica, con le risorse che in tal caso potrebbero essere utilizzate - come accade nei Paesi anglosassoni - per il sostentamento e la lotta alla povertà.