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Riforma del lavoro in Francia, sindacati in rivolta contro Macron che crolla nei sondaggi
giovedì 31 agosto 2017, di
La luna di miele tra Emmanuel Macron e i francesi sembrerebbe essere già finita. Dopo la trionfale cavalcata nelle elezioni presidenziali di maggio per il giovane Presidente quello che si preannuncia sembrerebbe essere un autunno molto caldo.
In questi mesi estivi infatti il suo governo ha preparato la Loi Travail, ovvero la riforma del mercato del lavoro che già fa molto discutere in Francia, con i sindacati che hanno annunciato uno sciopero generale per il 12 settembre.
Un braccio di ferro questo che arriva proprio nei giorni in cui, come abitudine dopo i primi mesi di una nuova legislatura, un sondaggio dell’istituto Ifop sulla popolarità ha evidenziato che la fiducia dei francesi in Emmanuel Macron sia scena di ben 24 punti, passando dal 64% al 40%.
Un record negativo questo che cozza con l’immagine che Macron sta cercando di dare all’estero, ovvero quello del brillante premier capace anche di risolvere questioni internazionali come nel caso dei recenti accordi di Parigi sul tema dell’immigrazione.
La riforma del lavoro di Macron
Anticipando i contenuti della riforma del mercato del lavoro, Emmanuel Macron ha parlato di quasi due anni di tempo per avere dei risultati, visto che si tratterebbe di una trasformazione profonda e radicale.
È una riforma di trasformazione profonda e, come promesso, deve essere ambiziosa ed efficace per continuare a far scendere la disoccupazione diffusa in modo che non si debba tornare ad affrontare questo tema durante il quinquennio.
Quando però il premier Edouard Philippe e il ministro del Lavoro Muriel Penicaud hanno illustrato alle parti sociali i cinque punti della riforma, i sindacati hanno stroncato il testo proclamando per il 12 settembre una giornata di sciopero.
Al centro della diatriba c’è soprattutto la modifica del regime giuridico che regola i licenziamenti, con tutta la riforma che va verso un’ottica di maggiore flessibilità per quanto riguarda il mercato del lavoro.
In un paese come la Francia segnato da una larga disoccupazione, il governo Macron quindi prova a intraprendere anch’esso la strada della maggiore flessibilità, una scelta questa che spesso non ha portato molto bene ad altri leader politici.
Basti pensare infatti al duro conto che ha pagato il Partito Socialista francese alle ultime elezioni, sceso ai minimi storici dopo le impopolari leggi sul lavoro volute da Hollande. Ma anche fuori dai confini transalpini non è che le cose siano andate meglio.
La Loi Travail come il Jobs Act?
In un’intervista a Le Point, Emmanuel Macron parla della sua imminente riforma del lavoro come “trasformazione profonda e ambiziosa che mira a liberare energie”. Parole queste che non sono suonate come nuove alle orecchie italiche.
Termini simili infatti furono usati da Matteo Renzi al momento della presentazione del suo Jobs Act, ovvero l’equivalente della Loi Travail appena elaborata in Francia. La ricetta alla fine è sempre la stessa: sgravi alle aziende, più flessibilità e meno tutele nei licenziamenti.
In termini elettorali però Renzi ha pagato a caro prezzo il suo Jobs Act. Il Partito Democratico è passato dal 40% del 2014 all’attuale 28% come raccontano gli ultimi sondaggi politici pubblicati.
Nel mezzo è arrivata anche la bocciatura degli italiani al suo Referendum sulla Riforma Costituzionale, che lo hanno indotto a rassegnare le dimissioni da Presidente del Consiglio, oltre che la disfatta alle elezioni amministrative di giugno.
Anche al Partito Socialdemocratico tedesco non è andata meglio. Tra il 2003 e il 2005 il cancelliere di centrosinistra Gerhard Schroder ha legiferato in materia di mercato del lavoro con il famigerato Piano Hartz, che si basa su quattro distinte leggi approvate in un breve periodo di distanza.
Il Piano Hartz IV nello specifico prevedeva l’istituzione dei famosi Mini-Jobs, ovvero dei contratti part-time molto flessibili pagati poco più di 500 euro al mese, a cui si vanno aggiungere poi anche alcuni aiuti da parte dello Stato.
In questi più di dieci anni dalla loro introduzione, i Mini-Jobs hanno fatto galoppare l’industria tedesca, dimezzato la disoccupazione ma creato una sacca di milioni di lavoratori precari e con bassi stipendi.
Da quando è stato fatto il Piano Hartz il Partito Socialista tedesco ha sempre perso le elezioni raggiungendo i suoi minimi storici, una manna questa per Angela Merkel che da allora governa indisturbata.
Per i grandi partiti di centrosinistra quindi la riforma del lavoro finora si è rivelata come un autentico autogol. Vedremo quindi come il governo Macron, che potrebbe essere definito comunque di centro ma che ha pescato molto nell’elettorato di sinistra, risponderà a questa prova e se la Loi Travail riuscirà a risollevare il mercato del lavoro in Francia, oppure si rivelerà soltanto un autentico boomerang per le ambizioni e la popolarità del giovane Presidente.