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Stati Uniti: il 2018 del mercato del lavoro si chiude in bellezza, ma analisti restano prudenti

venerdì 4 gennaio 2019, di Luca Fiore

Boom delle buste paga statunitensi nell’ultimo mese del 2018. A dicembre, come si può osservare sul nostro Calendario Economico, il saldo delle buste paga nei settori non agricoli, le celeberrime non-farm payrolls, ha segnato un balzo di 312 mila unità, contro le 176 mila di novembre.

Il dato ha colto di sorpresa gli operatori, orientati per un rialzo di 178 mila unità, e rappresenta il livello maggiore dallo scorso mese di febbraio. Oltre a questo ci sono le revisioni che, tenendo conto di ottobre e novembre, aggiungono altre 58 mila payrolls.

Nell’intero 2018 le payrolls sono cresciute ad un ritmo di 220 mila unità al mese, contro le 182 mila del 2017 e le 195 mila del 2016.

Tasso di disoccupazione e retribuzioni in aumento

Operatori colti di sorpresa anche dall’andamento del tasso di disoccupazione, passato dal 3,7%, livello minimo degli ultimi 49 anni, al 3,9 per cento. L’incremento è fisiologico perché riconducibile al fatto che l’ottimo stato di salute del mercato del lavoro sta spingendo persone in precedenza inattive alla ricerca di un’occupazione.

Indicazioni significative arrivano anche dall’aggregato U-6, che al tasso “classico” aggiunge i lavoratori scoraggiati, marginali e chi lavora a tempo parziale ma vorrebbe essere impiegato full-time. All’8% a dicembre 2017, l’U-6 il mese scorso si è confermato al 7,6%.

La difficoltà dei datori di lavoro nella ricerca di personale sta favorendo le retribuzioni che, attese in contrazione dal 3,1 al 3 per cento annuo, hanno segnato un incremento al 3,2 per cento, il livello maggiore dal 2009. A livello mensile, la retribuzione media oraria è salita di 11 centesimi, pari allo 0,4% m/m, portandosi a 27,48 dollari.

Reazioni dei mercati

Sotto quota 2,6% prima della pubblicazione dei dati, il decennale a stelle e strisce al momento rende il 2,622%. Se le ultime indicazioni macro hanno fatto presagire un rallentamento della prima economia e quindi una pausa nel percorso di normalizzazione dei tassi da parte della Federal Reserve, le indicazioni arrivate oggi rimettono tutto in discussione.

“Diventa più difficile –sottolinea Vincenzo Longo, Market Strategist di IG- per la Federal Reserve giustificare la sospensione del percorso di rialzi dei tassi d’interesse con figure di questo tenore”.

In scia il cambio eurodollaro che, a 1,1415 prima della diffusione dei dati, ora passa di mano a 1,1371 dollari, -0,2% sul dato precedente. Bene anche gli indici a Wall Street, tutti in positivo a pochi minuti dall’avvio degli scambi: il Dow Jones segna un +1,4%, lo S&P sale dell’1,28% e il Nasdaq avanza dell’1,45%.

“Crediamo che in questo momento gli operatori possano apprezzare più dei buoni dati che allontanino il pericolo di una forte contrazione dell’attività economica che non brutti dati che aprano a un atteggiamento accomodante della Fed”, spiega Longo.

Analisti prudenti

Nonostante un job report decisamente positivo, forse non è il caso di cantare vittoria. “Alla luce delle sfide che gli Stati Uniti si trovano ad affrontare (ridotto supporto fiscale, rafforzamento del dollaro, effetti ritardati dell’innalzamento dei tassi e indebolimento delle domanda in arrivo dall’estero tra tensioni e protezionismo commerciale), ci sono dubbi sulla sostenibilità di questi risultati”, ha commentato James Knightley, Chief International Economist di ING.

Invito alla prudenza anche quello che arriva da Longo che, anche alla luce del calo dell’ISM manifatturiero, rileva che “l’incertezza economica sembra affacciarsi anche dall’altra parte dell’Atlantico e gli operatori sembrano essersene accorti, viste le violente vendite sui mercati delle ultime settimane”.

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