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Rendite Inail: la malattia professionale è risarcibile solo se l’attività lavorativa è la causa efficiente
lunedì 17 dicembre 2018, di
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha riconfermato che la rendita Inail per le malattie professionali può esserci sono il presenza di un nesso di causalità tra l’attività svolta e la malattia contratta.
La sentenza in esame vuole ribadire che solo le malattie professionali interamente legate alla tipologia di lavoro svolto sono risarcibili con rendite Inail. In pratica, il lavoratore ammalato può beneficiare dell’indennizzo solo in assenza di cause esterne che hanno provocato o favorito l’insorgere della patologia. Dunque, l’attività lavorativa deve essere l’unica e sola causa della malattia professionale; per usare la terminologia della Corte di Cassazione, deve essere la c.d. “conditio sine qua non”.
Ma a chi spetta l’onere di provare che l’attività lavorativa sia la sola causa della malattia? All’Inail o al lavoratore? Facciamo chiarezza seguendo gli orientamenti della Suprema Corte.
La decisione della Corte di Cassazione
Con l’ordinanza n. 28454 del 7 novembre 2018, la Sezione lavoro della Corte di Cassazione si è pronunciata sulla risarcibilità della malattia professionale. Come noto, chi contrae una malattia a causa dell’attività lavorativa svolta ha diritto ad una rendita Inail, anche quando il suo insorgere avviene molti anni dopo l’interruzione del lavoro.
L’indennizzo consiste in una rendita economica che va a compensare la perdita della qualità della vita del lavoratore, e segue delle specifiche regole di calcolo in base al tipo ed alla gravità della malattia professionale contratta.
La Corte di Cassazione ha ribadito un previgente orientamento giurisprudenziale, secondo il quale il diritto alle rendite Inail sussiste solo laddove c’è un nesso di causa-effetto tra l’attività lavorativa e la patologia del richiedente. Solo in questo caso è legittimo parlare di “malattia professionale”.
La recente precisazione della Cassazione è di notevole importanza per tutti coloro che intendono far valere il proprio diritto all’indennizzo, in quanto afferma che l’Inail può rifiutare la rendita solo in presenza di un prova certa ed incontrovertibile del fatto che la malattia sia conseguenza di una causa esterna. In mancanza della prova, la malattia si presume derivante dall’attività lavorativa.
Gli ermellini si sono espressi come segue:
“Laddove possa essere con certezza ravvisato l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa, che sia per sé sufficiente a produrre l’infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge.”
Con queste righe, la Corte intende riaffermare il principio dell’equivalenza della condizioni, anche detto in ambito giuridico “conditio sine qua non”. Vuol dire che l’indennizzo è dovuto solo se tra l’evento dannoso - la malattia professionale - e la causa - il lavoro svolto - c’è un legame eziologico. Ogni causa esterna all’ambito di lavoro, purché concretamente responsabile della malattia, esclude il diritto a percepire la rendita Inail.
Ma ora vediamo come si ripartisce in giudizio l’onere della prova sull’esistenza o meno del nesso di causa-effetto.
Il nesso causale si presume, ma l’Inail può fornire prova contraria
Per ottenere l’indennizzo conseguente alla malattia professionale, il lavoratore deve sporgere denuncia all’Inail, ma prima occorre verificare se la malattia contratta sia presente nelle apposite tabelle.
Questo è molto importante ai fini dell’onere della prova, che è ripartito nel modo seguente:
- se la malattia compare nella tabella, il nesso di causa-effetto si presume (quindi il lavoratore non è tenuto a fornire alcuna prova);
- se la malattia non compare in tabella, il lavoratore deve provare che la causa efficiente della malattia è l’attività lavorativa (con il supporto del parere del medico).
Precisiamo però che, in entrambi i casi, l’Inail ha sempre il diritto di procedere con la dimostrazione della prova contraria. Si tratta di un giudizio tutt’altro che semplice: l’Inail può respingere la richiesta di indennizzo solo se fornisce la prova certa dell’esistenza di una causa esterna all’attività lavorativa (come ad esempio uno stile di vita particolarmente dissoluto del richiedente o la presenza di una predisposizione genetica) che sia idonea ad interrompere il nesso causale tra malattia e lavoro, in quanto essa stessa è la causa della patologia contratta.
Messaggi
18 dicembre 2018, 12:27, di eleonora4198
era ora che qualcuno si svegliasse . fino a 10 anni fa si davano assegni così alla cavolo , e si assistevano lavoratori che per ignavia loro di ferivano il dito mignolo del pief+dino . e avanti con il periodo di infortunio senza un controllo . sei mesi di infortunio perchè il dito mignolo era rimasto incastrato sotto un sruots ds csmion mentre la tirava fuori dal mucchio . sveglia ragazzo . sapete come è finita ? non è piu venuto a lavorare e dopo sei mesi è entrato nei carabinieri . bello vero ?e la ditta pagava l’aumento salato sugli infortuni sul lavoro . eleonora ferrari