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Reddito minimo: l’esperienza del reddito di garanzia di Trento. Di che si tratta?
mercoledì 8 maggio 2013, di
Un’altra puntata sul reddito minimo. Dopo avervi informato negli ultimi giorni sull’avvio della sperimentazione con la Social Card e aver trattato dell’esperimento della Regione Lazio sul reddito minimo con la legge n. 4/2009, oggi vogliamo parlarvi di un’altra esperienza significativa, quella della Provincia autonoma di Trento, che nel 2009 ha introdotto il reddito minimo di garanzia. Di che si tratta?
Il reddito di garanzia
Il reddito minimo di garanzia prevede l’esborso mensile di un beneficio monetario, il cui importo è costituito dal rapporto tra la condizione economica del nucleo familiare e una soglia di povertà relativa, individuata in funzione delle caratteristiche del nucleo stesso. La condizione è considerata in base a diversi parametri:
- reddito (vengono considerati sussidi e/o altre voci di entrate, ma il reddito è al netto delle imposte, delle rate del mutuo/affitto e delle spese mediche);
- patrimonio;
- indicatori di consumo (automobile, affitto, superficie abitazione).
La durata è di 4 anni, prorogabile, previa accertamenti, ma non più di 3 volte in 2 anni. Al momento della sottoscrizione di questo reddito minimo di garanzia si assicura un impegno alla ricerca attiva del lavoro, nonché alla disponibilità immediata all’accettazione di un posto di lavoro per ogni componente del nucleo familiare.
Esperienza positiva?
Dal mese di ottobre 2009 a dicembre 2012 il reddito di garanzia ha interessato circa 10.000 nuclei familiari, soprattutto quelli con minori a carico. Le statistiche hanno evidenziato che il reddito di garanzia in questi tre anni, nonostante la crisi, ha avuto un carattere provvisorio in linea con l’obiettivo di costituire un ammortizzatore per far fronte a condizioni di difficoltà e, allo stesso tempo, un incentivo alla responsabilizzazione dei beneficiari.
Sostanzialmente, sempre secondo i dati statistici, le famiglie che hanno beneficiato del reddito di garanzia sono quelle che versano in condizioni di una vera e propria povertà strutturale. Nella maggior parte dei casi il reddito di garanzia ha causato:
- cambiamenti nell’atteggiamento al consumo, specie per alcune tipologie di beni, come quelli durevoli;
- lievi incrementi nella spesa di beni primari, quali i generi alimentari;
- una partecipazione invariata al mercato del lavoro, non incidendo particolarmente sullo stesso;
- più effetti sulle famiglie immigrate.
In generale, secondo l’ISTAT, l’esperienza del reddito di garanzia nella provincia di Trento è senza dubbio positivo, alla luce del fatto che in Trentino si è dimezzata la percentuale di povertà e la zona si è trasformata in quella con la più bassa incidenza della povertà in tutto il territorio nazionale.
E’ un modello esportabile?
Il reddito di garanzia introdotto nella provincia di Trento è esportabile in tutta Italia? E se si, a quali costi?
Partendo dal presupposto che al Nord la percentuale di povertà è pari al 5,3% e al Sud al 21,5%, l’ISTAT ha elaborato la seguente tabella in cui la stima del costo del modello suddetto è pari al prodotto tra la spesa per abitante del Trentino e la popolazione di ciascuna Regione italiana, rivista poi in ragione della differente incidenza della povertà.
Dalla tabella emerge una spesa complessiva di circa 5,3 miliardi di euro così ripartita:
- Nord: circa 1 miliardo;
- Centro: circa 0,5 miliardi;
- Sud: circa 3,5 miliardi.
Le Regioni a Statuto speciale dovrebbero far fronte in maniera autonoma a l reddito minimo di garanzia visto che, a livello costituzionale, la voce assistenza rientra nelle competenze regionali. Una valutazione tecnica mirata e ragionata potrebbe anche condurre all’accettazione di questo modello.
La spesa media annua che il Trentino deve sostenere per il “modello Trento” è pari a 16 milioni di euro, meno di 3 euro al mese per residente.
Ma quali sono le condizioni per esportarlo?
- stabilire una proporzionalità tra l’importo e la durata dell’erogazione e la consistenza dei reali e concreti bisogni del nucleo beneficiario;
- procedere con precisi accertamenti per verificare il rispetto dei requisiti di ammissibilità;
- associare al sostegno monetario interventi attivi relativi al mercato del lavoro.
L’economista Tito Boeri ha così commentato il “modello Trento”:
“Il reddito minimo di garanzia introduce nel nostro Paese uno schema di reddito minimo garantito, come quelli che esistono in tutti i Paesi dell’Unione Europea, ad eccezione di Grecia e Italia. Il sussidio è monetario e non è a somma fissa, a differenza della Social Card istituita, peraltro solo come misura estemporanea, dal Governo. Questo ne migliora le proprietà distributive (si aiuta di più chi è più povero) e l’efficacia nel contrastare la povertà”.
Boeri ha messo in luce come sia condivisibile la scelta di usare indicatori di consumo da associare ad un indicatore più standard, sul modello ISEE, per combattere gli eventuali abusi e ha aggiunto:
“Il reddito minimo di garanzia è uno strumento di assistenza sociale potenzialmente accessibile da parte di tutti coloro che si trovino in condizione di bisogno. Non sono previsti, come nel caso della social card, requisiti anagrafici ad hoc, nell’intento di limitare il costo della misura”.
Gli unici esclusi dal beneficio sono:
- coloro che sono residenti in Trentino da meno di 3 anni;
- coloro che non hanno svolto precedentemente attività lavorative sul territorio.
Questo alla luce di scoraggiare quello che lo stesso Boeri definisce “turismo assistenziale”
“che porti i poveri di altre regioni a riversarsi in quella che rischia di essere l’unica provincia italiana ad avere istituito uno schema di questo tipo. Trattandosi di una misura che viene introdotta come uno strumento permanente di contrasto alla povertà, sarà possibile nel tempo sperimentare gli effetti di un parziale ammorbidimento di questo requisito, tenendo conto che nella popolazione povera già presente in Trentino vi sono probabilmente non poche persone di immigrazione recente e che sono in condizione di bisogno”.
Il modello Trento è un esempio da imitare
Ovviamente bisogna usare un certo “approccio relativista” rispetto ai diversi contesti. Tuttavia, secondo Tito Boeri “il piano varato a Trento è d’esempio” perché
“si tratta di misure strutturali e proprio perché sfuggono alla prassi consolidata della politica italiana di introdurre misure che durano lo spazio di un mattino, le misure varate a Trento potranno essere affinate nel tempo, sulla base dell’esperienza e di approfondite valutazioni. Anche per questo è bene che la Provincia si attrezzi fin d’ora a prevedere una sistematica raccolta di dati sugli effetti del reddito minimo di garanzia”.