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Petrolio ai minimi degli ultimi 6 anni a 41 dollari al barile: le correlazioni con la crisi in Cina e le conseguenze sui mercati

giovedì 20 agosto 2015, di Simone Casavecchia

L’imprevisto aumento delle scorte di petrolio in Usa, rilevata la scorsa settimana, ha determinato una vertiginosa discesa del prezzo del greggio sul New York Mercantile Exchange, dove i prezzi dell’oro nero hanno raggiunto i minimi degli ultimi 6 anni e mezzo e si attestano attualmente a quota 41 (WTI) e 46,9 (Brent) dollari al barile.

Occorre comprendere a tal proposito quali sono le cause di questo calo del prezzo del petrolio ma anche, e soprattutto, quali sono le correlazioni con l’attuale crisi cinese e quale potrebbe, ragionevolmente, essere l’andamento futuro del prezzo dell’oro nero.

Prezzo del petrolio: le cause del calo
La scorsa settimana è stata, inaspettatamente, rilevata una crescita delle scorte statunitensi di petrolio di 2,62 milioni di unità (barili), dato, questo che ha portato le attuali scorte USA a quota 456,213 milioni di unità, in netta controtendenza con le aspettative degli analisti che prevedevano un ribasso di 1,1 milioni di barili. Nella sola Cushing, la località dell’Oklahoma dove avviene la consegna fisica del greggio scambiato sul mercato delle materie prime di New York le scorte sono cresciute di 326000 barili arrivando a quota 57,44 milioni, contrariamente alle attese che prevedevano una diminuzione di almeno 700000 barili.
Il dato è spiegabile con la strategia commerciale, estremamente aggressiva, dell’Arabia Saudita, che continua a mantenere la sua produzione invariata, ritenendo comunque conveniente vendere greggio a un prezzo inferiore.

Il prezzo del petrolio continuerà a scendere?
Al di là del dato attuale quel che più preoccupa è l’andamento futuro del prezzo dell’oro nero. Un ulteriore ribasso potrebbe essere quanto mai probabile per due importanti elementi presenti sullo scacchiere geopolitico internazionale: l’imminente immissione sul mercato del petrolio iraniano, in seguito all’accordo sul nucleare che sta portando, gradualmente alla fine dell’embargo verso il Paese mediorientale e la crisi cinese. Riguardo a questo secondo elemento è opportuno ricordare che la Cina è un importatore netto di petrolio e che un rallentamento dell’economia cinese potrebbe ridurre la domanda di greggio e, quindi, contribuire a un ulteriore ribasso del prezzo del petrolio.
Proprio per questo l’Energy Information Administration americana ha tagliato le stime sul Wti per il 2015 e per il 2016 prevedendo, per quest’anno che la media dei prezzi del WTI si attesterà a a 49 dollari al barile (6 dollari in meno rispetto alle stime precedenti) mentre per il 2016 il petrolio sarà scambiato a una media di 54 dollari al barile (8 dollari in meno rispetto alle stime precedenti).
Ancor più pessimista la stima di David Kotok, grande investitore sul mercato delle materie prime e co-fondatore di Cumberland Advisors che, in un’intervista realizzata alla CNN, ha smentito la possibilità di una ripresa dei prezzi del petrolio a breve termine e ha prefigurato la possibilità che il prezzo del greggio possa arrivare intorno a quota 15-20 dollari al barile.
Lo stesso Kotok ha richiamato, tra le cause di questa previsione, la strategia saudita, il crollo della domanda cinese e l’apertura del mercato all’Iran. A ciò occorre aggiungere anche che l’offerta resta ai massimi livelli negli USA, dove negli ultimi mesi è avvenuto un taglio dei costi.
Una conferma empirica della previsione di Kotok arriverebbe dal caso del Western Canadian, una qualità di petrolio che, già oggi, ha raggunto quotazioni che si attestano intorno ai 20 dollari al barile.

Le consegueneze sui mercati finanziari
Difficile prevedere quali saranno le prospettive di lungo termine sui mercati finanziari. Quel che è certo è che, complice la crisi dell’economia cinese, i mercati finanziari del vecchio continente hanno subito forti contraccolpi da questi due eventi che si sono configurati congiuntamente.
Nella sola giornata di ieri la piazza di Shanghai ha subito perdite che sono arrivate al 5% per poi risollevarsi e chiudere in positivo al +1,2%. Mentre le maggiori preoccupazioni degli operatori asiatici sarebbero legate alla fragilità dell’economia cinese, una possibile inversione di rotta potrebbe essere determinata dall’ennesimo intervento delle autorità a sostegno dell’economia.
Anche Wall Street, nella giornata di ieri ha registrato una seduta negativa (Dow Jones -0,91%; Nasdaq -0,80%; S&P500 -0,8%) determinando profonde conseguenze sulle piazze europee dove Francoforte registra perdite del -2,1%, Parigi e Londra cedono l’1,7% e Milano chiude le contrattazioni a -1,77%.
Anche la seduta di oggi si è aperta in ribasso con tutti i principali indici europei in sofferenza per i dubbi sempre più consistenti sull’economia di Pechino e per le contrazioni delle vendite nei settori dei titoli minerari, dell’energia e delle auto; in controtendenza solo alcuni titoli bancari (MPS e Intesa) e assicurativi (UnipolSai).

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