Home > Altro > Archivio > Italia: basta con la vecchia politica. Crisi: è davvero colpa dell’Euro? (…)

Italia: basta con la vecchia politica. Crisi: è davvero colpa dell’Euro? Bini Smaghi al FT

venerdì 18 gennaio 2013, di Federica Agostini

Lorenzo Bini Smaghi, economista ed ex membro della Banca Centrale Europea, scrive un interessante editoriale sul Financial Times, raccontando la sua visione della politica Italiana. Il sistema politico si basa su vecchi modelli che non affrontano le sfide attuali e per questo l’Italia è uno dei paesi più duramente colpiti dalla crisi. Dei candidati alle prossime elezioni, scrive Bini Smaghi, nessuno propone misure che stimolino la competitività economica del nostro paese che, invece, è uno dei problemi più gravi.

  • Il declino dell’Italia è iniziato con l’adozione della moneta unica, ma la colpa della crisi è davvero tutta dell’Euro?

Di seguito, la traduzione dell’articolo di Bini Smaghi sul Financial Times.

Italia: basta con la vecchia politica

Ad un mese dal voto, la campagna elettorale in Italia corre a tutta velocità e i leader dei partiti politici si accusano a vicenda per lo stato dell’economia del paese. Tuttavia, nessuno di loro propone misure che siano in grado di migliorare i problemi reali dell’Italia.

C’è stata una serie di fallimenti da parte di politici, giornalisti e pubblico nel tentativo di inquadrare le origini della crisi italiana e, solo con la pressione dei mercati finanziari e delle istituzioni internazionali, si è andati alla ricerca delle cause, quando era tempo di curare i sintomi.

Le misure adottate dai leader italiani per fronteggiare la crisi si sono rivolte alla sola riduzione del deficit di bilancio e del debito pubblico, prevalentemente mediante l’aumento dele tasse. Tagli alle spese e riforme strutturali, invece, sono stati posticipati alla "seconda fase", cosiddetta "fase di crescita". Tuttavia, giunti alla seconda fase, le pressioni dei mercati erano già svanite e la conseguente "urgenza" evaporata.

Italia: la più colpita dalla crisi dopo la Grecia

Risultato: dall’inizio della crisi dell’Eurozona, l’economia Italiana ha sofferto più di qualsiasi altra, fatta eccezione per la Grecia. Dal 2008 il PIL è sceso di 7 punti percentuali, ovvero più del Portogallo (5.5%), Irlanda (5%) e Spagna (4%). Il reddito pro capite, invece, è tornato ai livelli della metà degli anni ’90.

Il dibattito elettorale continua a focalizzare sulle misure fiscali: tasse sulla proprietà e misure che favoriscano la domanda. L’intervento dello Stato è considerato come l’unica maniera di aumentare l’occupazione e proteggere le aziende in crisi.

Competitività: l’anello mancante

La parola mancante in tutto questo è competitività, persa dall’economia italiana negli ultimi dieci anni. I costi del lavoro sono cresciuti più della produzione e in maniera più veloce che nel resto del mondo. Dall’entrata nell’Euro, in Italia i costi dell’unità lavorativa sono aumentati del 30% in più rispetto agli altri stati dell’Eurozona.

Altri indicatori di competitività interna: come interessi sulle tasse, costi di avviamento delle aziende, flessibilità del mercato, sistema burocratico, ricerca, sviluppo, investimento e trasparenza, invece, mostrano tutti un perenne ritardo. E qual è il risultato? In Italia la produzione è stagnante.

Questo spiega perché la bilancia dei pagamenti è passata da un surplus all’inizio dell’unione monetaria ad un deficit pari al 4% del PIL nel 2010. La competitività esterna dell’Italia non è migliorata dall’inizio della crisi a differenza di Spagna, Irlanda e Grecia dov’è avvenuta una "svalutazione interna". Gli aggiustamenti della bilancia dei pagamenti hanno avuto origine dalla riduzione delle importazioni di beni e servizi (7% nel 2012), mentre le esportazioni hanno recuperato un solo punto percentuale, ma al di sotto della media dell’Eurozona.

La scarsa competitività ha portato alla depressione della crescita, che a sua volta ha impoverito le finanze pubbliche. Inoltre, le misure per rinvigorire queste ultime hanno contribuito alla riduzione della competitività e della crescita, creando così un circolo vizioso. L’unico modo per fuggire questa situazione è adottare misure che migliorino la competitività e aumentino il potenziale di crescita dell’Italia.

Politica italiana: una vecchia tendenza

Comunque, adottare queste misure richiede la determinazione a voler combattere l’opposizione rappresentata dai diversi gruppi di interesse che vogliono proteggere i loro privilegi e i cosiddetti "diritti acquisiti". A questo scopo, l’ostacolo maggiore è rappresentato dalla tradizionale tendenza della politica italiana di evitare ogni confronto e di decidere per consenso. Dalla metà degli anni ’70, i governi sono abituati a prendere decisioni insieme ai gruppi di interesse più disparati in rappresentanza di lavoratori, sindacati, aziende e banche, con lo scopo di raggiungere la coesione sociale.

Tra il 1970 e il 1980, il costo dell’inflessibilità è stato pagato dal bilancio pubblico e dal valore della moneta (la lira), svalutata più e più volte. La soglia del debito è raddoppiata in dieci anni: dal 60% del PIL nel 1980, al 120% nel 1992. Contro il Marco tedesco, la lira passò da 250 nel 1970 a 990 prima di entrare nell’Euro.

Crisi: è davvero tutta colpa dell’Euro?

Dall’avvio dell’unione monetaria non c’è stato più spazio per l’inflazione e il bilancio pubblico ha smesso di pagare il conto. Risultato: l’Italia ha smesso di crescere. In queste condizioni, la coesione sociale non è destinata a durare, e il nuovo governo dovrà confrontarsi con scelte durissime. A meno che non si voglia tornare alle politiche del 1970-1980, cosa impossibile da fare nel contesto dell’Eurozona, il nuovo governo dovrà iniziare a prendere decisioni senza aspettare l’accordo con tutte le parti sociali (un modello di questo comportamento è la decisione presa dalla Francia in materia di riforma del mercato del lavoro). Tali scelte potranno essere dispendiose a livello di consenso politico, ma saranno inevitabili.

Le campagne elettorali non sono il momento giusto per inviare messaggi negativi al pubblico di elettori. Ma ognuno dei candidati a Primo Ministro dovrebbe almeno dimostrare di essere consapevole delle sfide in gioco e di voler cambiare la maniera in cui questo paese è governato. Hanno solo un mese per farlo, e non c’è più tempo da perdere.

Traduzione e adattamento a cura di Federica Agostini Fonte: Financial Times: Italians need more than the old politics

Un messaggio, un commento?

moderato a priori

Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Chi sei?
I tuoi messaggi

Questo form accetta scorciatoie di SPIP [->url] {{bold}} {italic} <quote> <code> e il codice HTML <q> <del> <ins>. Per creare un paragrafo lasciate semplicemente una riga vuota.