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I laureati italiani? Scarsi, sottomansionati e…frustrati!

mercoledì 14 agosto 2013, di Valentina Pennacchio

Alla vigilia di Ferragosto non sono solo le temperature ad infiammare gli animi. Nonostante molti siano in ferie, condizione che quest’anno purtroppo non tutti hanno potuto permettersi, i problemi del nostro Paese non vanno in vacanza, primo tra tutti ancora il mercato del lavoro.

Dal Rapporto 2013 di Unioncamere emerge una situazione sicuramente nota, ma non per questo meno critica: in Italia ci sono pochi laureati, ma soprattutto sottomansionati. Nel settore privato meno di 2 lavoratori su 10 sono laureati, contro la media europea di 3 su 10 e quella di paesi come GB e Spagna di 4 su 10.

In percentuale, nel 2012, nel range tra 15 e 64 anni solo il 18,7% possedeva un titolo universitario e tra i 25 ed i 49 anni il 20% contro una media europea del 34,7%. Sicuramente in Italia la scolarizzazione è un fenomeno che ha interessato le ultime generazioni, cosicché i lavoratori più anziani possono contare su molti anni di esperienza piuttosto che sul titolo, ma la sostanza non cambia: l’Italia è ultima in Europa.

Laureati: quale futuro?

E chissà che queste percentuali non siano destinate a crollare ulteriormente alla luce di un mercato del lavoro che non “assorbe” laureati, anzi, al contrario, avere la laurea oggi sembra una colpa anziché un vanto, la colpa, forse, di aver perso tempo.

Avere impiegato volontà, sacrifici e denaro in un progetto, avere investito su sé stessi non ripaga oggi in Italia. I laureati italiani sono commessi, centralinisti, lavoratori part time e precari. I laureati in Europa? Sicuramente l’incontro tra domanda e offerta di lavoro qualificato sul mercato è più rapida o comunque avviene tramite canali più efficienti che nel nostro Paese, ove i tempi sono lunghi e frustranti.

I laureati italiani svolgono lavori sottoqualificati rispetto ai loro studi. I laureati italiani svolgono, forse ben più che in Europa, anche mansioni umili, svolgono lavori che richiedono competenze sicuramente inferiori rispetto alla loro preparazione.

E’ vero spesso si tratta di una preparazione troppo teorica, ma la cultura è l’arma di difesa della generazione che verrà e va assolutamente investita per far crescere economicamente e socialmente il nostro Paese che altrimenti rischia di diventare un Paese per vecchi o per stranieri a causa della fuga dei cervelli.

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