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Forexinfo intervista Piergiuseppe Fortunato: come evitare il crollo dell’euro

venerdì 19 aprile 2013, di Erika Di Dio

Forexinfo intervista Piergiuseppe Fortunato, economista per la Conferenza dell’ONU per il Commercio e lo Sviluppo, i cui studi si concentrano soprattutto su Economia Politica, Sviluppo Economico e Economia Internazionale.

Abbiamo intervistato l’economista italiano sulle più recenti dinamiche del mondo economico/finanziario. Ecco le sue prospettive.

1) Si parla tanto in questo periodo di possibile uscita dall’euro come soluzione alla crisi: c’è chi sostiene di abbandonare completamente la moneta unica, chi dice che si potrebbe optare per una separazione dell’euro in due, un Euro del Nord e un Euro del Sud. Qual è la sua visione a riguardo?

R. La prospettiva di un’uscita unilaterale dall’Italia dall’Euro è a mio avviso poco verosimile. I costi sarebbero, infatti, molto superiori ai benefici. Dal punto di vista puramente economico, infatti, i vantaggi legati al recupero della possibilità di svalutare la moneta col fine di incrementare la competitività del made in Italy sarebbero controbilanciati dalla probabile spirale inflattiva che ne seguirebbe e dunque dall’aumento dei costi di produzione. Ma ancora più importanti sono quelli che Barry Eichengreen ha definito “costi procedurali”. Una reintroduzione della Lira comporterebbe, infatti, la conversione di tutti i contratti (dai titoli di stato ai mutui) nella nuova valuta e parallelamente una riprogrammazione dei molteplici strumenti di cui disponiamo per registrare i pagamenti (dalle casse dei supermercati a quelle dei grossi parcheggi cittadini). Tutto ciò non avviene overnight e non può esser fatto di sorpresa. I cittadini dunque correrebbero ai ripari e, per evitare di veder trasformare i loro risparmi in una valuta destinata a svalutarsi rapidamente, trasferirebbero quanto prima i loro depositi in altri paesi dell’area Euro. O preleverebbero semplicemente quanto hanno in banca per metterlo sotto il materasso. Una vera e propria corsa agli sportelli che porterebbe a una crisi bancaria cui sarebbe difficile porre rimedio, perché un governo con una posizione debitoria come il nostro non avrebbe neanche i mezzi necessari per correre in soccorso del sistema.

Lo scenario alternativo che lei evocava, quello di una separazione in due dell’Euro, presenterebbe lo stesso tipo di problema di fondo. Una crisi bancaria nei paesi di Serie B, quelli per cui sarebbe lecito aspettarsi una forte svalutazione dopo il cambio di regime.

2) La Germania è ormai considerata un po’ da tutta Europa come il carnefice della crisi in cui ci troviamo. Ma è davvero solo colpa della Germania?

R. No, non lo credo. La crisi ha origine dagli enormi livelli di debito accumulati negli anni da vari paesi europei. Livelli di debito che hanno reso questi paesi vulnerabili in periodi di sfiducia dei mercati, come quello che ha fatto seguito alla crisi dei subprime. In un contesto del genere, infatti, è più probabile che le aspettative sulla solvibilità dei debitori si deteriorino e che ciò porti a un aumento dei tassi d’interesse necessari per rifinanziare il debito. Ne nasce un circolo vizioso perché l’aumento dei tassi accresce ulteriormente il rischio d’insolvenza. Se il volume di debito è particolarmente elevato, come nel caso del nostro Paese, si rischia di arrivare a un “punto di non ritorno”, in cui non c’è nessun tasso d’interesse tale da convincere i mercati a rifinanziare il debito.

Detto ciò, occorre però anche rilevare che per evitare il crollo dell’Euro si rende necessaria un’azione più decisa della BCE, un pacchetto di salvataggio per i paesi più in difficoltà. E che, in questo contesto, come ha rilevato Tito Boeri, i paesi come la Germania (quelli a tripla A) dovranno necessariamente accettare qualche forma di trasferimento di “solidarietà” verso i paesi a zero A. Tale trasferimento dovrà essere accompagnato da un cambiamento nell’allocazione dei compiti all’interno dell’Eurozona, con un ruolo di controllo più forte attribuito alle autorità sovranazionali. Al trasferimento monetario dovrà cioè far fronte un parallelo trasferimento di sovranità.

La fine della moneta unica europea, d’altronde, e il rischio che molti paesi si trovino costretti al default, avrebbe ricadute significative anche sulle economie più solide. Il debito dei paesi come l’Italia, infatti, figura in maniera importante nei bilanci d’innumerevoli investitori istituzionali (come banche, fondi pensioni, compagnie di assicurazione,...) europei e non, la ricaduta sull’economia reale sarebbe dunque rilevante.

3) Il caso di Cipro potrà verificarsi in futuro in altre realtà europee?

R. A Cipro si è verificato in totum proprio quel circolo vizioso cui facevo riferimento prima. E, come ho detto, se non s’interverrà in maniera decisa, è possibilissimo che la situazione si ripeta anche altrove.

La drammaticità della situazione cipriota è comunque anche il frutto di grossi errori di policy commessi sia dalle autorità europee sia da quelle cipriote. Da un lato le condizioni durissime imposte per il bailout dall’Unione Europea, condizioni che porteranno il debito pubblico ben oltre il 100% del PIL (un livello assolutamente insostenibile per il Paese) e che istigheranno probabilmente una spirale di disoccupazione e sofferenza sociale. Poi, la tassazione e il congelamento dei depositi bancari, il “corallito” in salsa mediterranea, che rischia di generare una seria crisi bancaria non appena sarà rimosso.

D’altronde, perché mai risparmiatori ciprioti dovrebbero credere che certe misure non si ripeteranno nel prossimo futuro e decidere di non spostare i propri capitali non appena ne avranno la possibilità?

4) Quali sono le sue prospettive sulla crisi? La ripresa è ancora molto lontana?

R. Anche limitandosi ai paesi OCSE, quelli maggiormente colpiti dalla crisi, le prospettive di ripresa non sono per nulla omogenee. Mentre gli Stati Uniti sono ritornati ai livelli di prodotto interno pre-2008, per l’area Euro nel suo complesso non è così. Ed anche fra paesi europei, sembrano emergere importanti differenze: nel 2012 il PIL italiano è stato più basso del 6% rispetto a quello del 2006, mentre il PIL tedesco superava dell’8% quello registrato sei anni prima. La risposta alla crisi incentrata sull’austerità (stretta fiscale e i vincoli sul debito pubblico) sembra dunque aver amplificato l’impatto recessivo della crisi e al contempo aggravato i problemi di asimmetria all’interno dell’Eurozona.

Purtroppo, per i paesi europei più vulnerabili come il nostro, la ripresa sembra davvero molto lontana.

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