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Crisi: il futuro dell’UE? Il federalismo. Forexinfo.it intervista Umberto Triulzi
domenica 27 gennaio 2013, di
Forexinfo.it intervista Umberto Triulzi, Professore ordinario di Politica Economica Europea e Politica Economica Internazionale presso l’Università di Roma La Sapienza.
Il Professor Triulzi, autore di numerosi saggi su argomenti di sviluppo economico, economia internazionale ed integrazione europea, ha risposto gentilmente alle nostre domande, esprimendo il suo parere circa l’attuale situazione economica dell’UE e dell’Italia.
Di seguito l’intervista che abbiamo realizzato:
1) La recessione che ha investito l’economia e la finanza internazionale negli ultimi quattro anni ha avuto pesanti ripercussioni in Europa, pensiamo a paesi come la Grecia, costretta a chiedere gli aiuti dell’UE. Secondo lei qual è l’effettivo stato di salute dell’economia europea? E quali sono le prospettive per il 2013?
L’economia europea, ma direi la gran parte dei paesi più avanzati e dei PVS, a causa delle conseguenze della crisi finanziaria, si trova in una situazione di grave difficoltà economica e sociale. Il forte rallentamento della crescita osservato nei paesi dell’area Euro ed il permanere, nei paesi membri più indebitati, di condizioni di recessione economica e di forte incremento dei livelli di disoccupazione danno evidenza di un quadro macroeconomico ancora molto instabile e squilibrato. Le prospettive per il 2013 non sembrano positive. Molti istituti di ricerca nazionali ed internazionali stanno in questi giorni rivedendo al ribasso le già poco favorevoli previsioni di crescita formulate per questo anno. Insomma, la crisi non accenna a terminare ed il ritorno a ritmi più soddisfacenti di crescita, sia della produzione, che dell’occupazione, necessari a conseguire gli obiettivi di sviluppo di Europa 2020, richiederà tempi medio - lunghi.
2) L’Europa rappresenta un percorso comune, ma da cui i cittadini si sentono spesso distanti. Tra le cause di questa debole cittadinanza europea può esserci la percezione di un gap economico insormontabile tra alcuni Paesi membri? E’ possibile che i cittadini dei Paesi con PIL più elevato sentano il “peso” di sostenere quelli con un PIL inferiore, per esempio i Paesi di ultima entrata come Bulgaria e Romania?
E’ indubbio che tra i motivi che possono avere determinato la percezione di un’Europa ancora molto distante dagli obiettivi che si era data con l’avvio dell’Unione economica e monetaria vi sono quelli relativi al permanere nei paesi dell’Eurozona di forti divari nei ritmi di crescita economica, nei livelli di produttività e nella sostenibilità del debito pubblico. L’avversione manifestata dai più virtuosi cittadini tedeschi per i costi rappresentati dai programmi di sostegno finanziario di recente approvati dall’UE nei riguardi dei paesi più indebitati (Fondo Salva Stati e Fiscal Compact), costi che evidentemente sono sostenuti in misura maggiore dai paesi con più elevati livelli di reddito, è il segnale evidente di un percorso che, nonostante la forma più avanzata di integrazione economica oggi raggiunta, non ha saputo, al contempo, assicurare a tutti i paesi membri uno sviluppo sufficientemente “armonioso, equilibrato e sostenibile”. Ma è anche il segnale di un forte ritardo culturale accumulato dalle istituzioni dell’UE e dagli Stati membri nel fare conoscere e, quindi, fare comprendere a tutti i cittadini europei i complessi meccanismi, non solo giuridici ed istituzionali, ma anche di coordinamento degli indirizzi delle politiche economiche nazionali che presiedono il buon funzionamento dell’Euro ed il conseguimento degli ambiziosi obiettivi che ne sono alla base. Se una critica si può fare ai cittadini dei paesi più ricchi che oggi vedono con timore gli oneri da pagare per salvare l’UEM è che sino ad ora hanno guardato solo un lato della moneta europea, quello dei costi, e non anche quello dei numerosi vantaggi che hanno sin qui ottenuto nel farne parte.
3) In una recente intervista l’economista statunitense Paul Krugman ha definito l’euro “un’idea sentimentale, un bel simbolo di unità politica”. Lei crede che l’Euro sia un progetto riuscito o che abbia favorito in qualche modo la crisi europea?
Confesso, come molti economisti, di avere nei confronti di Paul Krugman un grande debito di riconoscenza per il contributo scientifico da lui dato alla nostra disciplina e per l’impegno intellettuale con cui svolge il suo lavoro. Debbo, tuttavia, con la stessa sincerità, confessare di dissentire totalmente da quanto da lui sostenuto nei riguardi delle politiche di rigore fiscale imposte dai paesi più forti dell’Eurozona ai paesi più deboli. Perseguire in questi paesi la politica di austerità, questa è la sua critica, non potrà che portare ad un “suicidio collettivo” dell’intera Europa. Quali i rimedi? Forse in modo estremistico, più per scongiurare il dramma temuto che non per evocarlo, Krugman arriva a sostenere, come molti economisti americani, l’abbandono dell’Euro ed il ritorno alle valute nazionali. Credo che il suo errore principale, relativamente all’Euro, sia quello di continuare a paragonare la situazione esistente negli Stati membri dell’Eurozona, che hanno storie, tradizioni culturali, lingue, istituzioni ed amministrazioni tra loro molto diverse, con quella degli Stati americani confederati che, oltre alla moneta unica, il dollaro, hanno in comune anche la storia, la lingua, la cultura, un esercito ed una amministrazione fiscale unica con sede a Washington. Nell’UEM siamo ancora molto distanti da questo modello. Per non affondare l’Euro dobbiamo andare avanti applicando non solo politiche di rigore, ma completando il processo di integrazione nella stessa direzione in cui si sono avventurati gli USA, realizzando una politica fiscale e bancaria unica, dando alla BCE i poteri di una Banca centrale, dotando l’UE di risorse maggiori (oggi limitate all’1% del Pil europeo), dunque realizzando le condizioni per la costruzione di un’Europa federale. Le logiche politiche e finanziarie prevalenti in molti paesi dell’Unione Europa non lo consentono perché contrarie a questo disegno. Il nostro dovere, come cittadini europei, è contrastarle mandando al governo uomini e partiti che condividono il progetto di un’Europa più unita.
4) Quali dovranno essere secondo lei le priorità del prossimo governo italiano in materia di politica economica? E’ giusto continuare a seguire la strada dell’austerità?
Credo di avere risposto, almeno in parte, a quest’ultima domanda. Certo, la politica economica del prossimo governo non potrà discostarsi di molto da quanto avviato dal governo Monti, soprattutto da quanto concordato e promesso all’UE. Dobbiamo proseguire nella politica di rigore, ma non con ulteriori tasse, che al contrario dobbiamo ridurre per riportare il livello impositivo dell’Italia sui parametri europei, quanto contenendo e razionalizzando la spesa pubblica, specie quella inerente agli enti locali o alle aree di attività economiche e le tipologie di servizi a forte presenza pubblica dove si collocano le inefficienze, i maggiori sprechi e la corruzione. Penso, con riferimento alle priorità del prossimo governo, ad un “grande patto” tra l’Amministrazione pubblica ed i cittadini: da una parte la promessa di un riordino complessivo delle principali voci di spesa dei bilanci pubblici (nazionali e locali), garantendo requisiti di efficienza, professionalità, trasparenza e criteri di merito per la selezione del personale (dirigente e non) e per l’organizzazione di tutti i servizi di interesse collettivo (sanità, istruzione, ambiente, attività giudiziarie e carcerarie, sostegno alle famiglie che si trovano sulla soglia della povertà); dall’altra un impegno civile altrettanto vincolante da parte degli operatori economici e da parte della cittadinanza per l’assunzione di comportamenti trasparenti nei rapporti con il fisco e con la P.A., a partire dalla riduzione dell’evasione e del sommerso, mali storici di un’Italia dissestata dal malgoverno e da uno Stato inefficiente, che di fatto ha legittimato e legittima tuttora comportamenti altrettanto illegali di difesa degli interessi privati. Si, si può continuare a chiedere austerità ai cittadini, così come avvenuto nel corso del 2011-2012 e come sarà necessario chiedere anche nei prossimi anni a causa dell’elevato debito pubblico italiano, ma solo se il prossimo governo darà pubblica evidenza di assumere e mantenere impegni altrettanto “austeri” e solidali nel contenimento delle spese, nella gestione dei beni comuni, nella riduzione delle disuguaglianze economiche e sociali e nella lotta alle attività criminali.