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Cina e crollo delle borse: sui mercati c’è troppo pessimismo?
venerdì 4 settembre 2015, di
Dopo la conferenza di Mario Draghi di oggi pomeriggio, proviamo ad analizzare i recenti eventi sui mercati finanziari nel mese di agosto e trarne delle conclusioni utili per delineare gli scenari a breve termine.
1) LA SVALUTAZIONE DELLO YUAN
E’ possibile che i mercati (ed anche il sottoscritto come pubblicato il 13 agosto su forexInfo.it) abbiano effettuato una errata interpretazione della decisione della PBoC: hanno pensato che fosse una manovra volta a spingere l’export cinese perché le misure di politica monetaria classiche si erano rivelate insufficienti e quindi hanno ritenuto che la Cina fosse in una “frenata” macro-economica molto più forte del previsto.
Tuttavia la spiegazione di una possibile decisione (i cui effetti sui mercati finanziari sarebbero stati inaspettati anche per la stessa PBOC) potrebbe essere di natura squisitamente tecnica: il mantenimento del tasso di cambio fisso dello yuan nei confronti del dollaro era insostenibile in vista dell’inasprimento monetario negli Stati Uniti.
Nel corso degli ultimi 12 mesi, il renminbi si era apprezzato di oltre il 15% rispetto alle altre valute e l’abbandono del tasso di cambio fisso favorirà anche l’inclusione dello yuan nel paniere dei DSP (Diritti speciali di prelievo, cioè l’unità di conto del FMI).
La maggior flessibilità dello yuan sembra invece principalmente dovuta alla volontà di rendere le politiche monetarie cinesi più efficienti nel raggiungimento dei target di crescita.
Infatti, nell’ultimo anno le autorità cinesi avevano assistito a deflussi di capitale indotti dal calo del differenziale di crescita fra Cina e Stati Uniti (quindi minore capacità di export cinese), unita ai deflussi di investimenti da parte degli hedge funds specializzati nei mercati emergenti, una concomitanza di eventi che costringevano ormai la PBoC, al fine di preservare la parità del cambio, a vendere dollaro contro yuan.
Di conseguenza si registrava un netto calo delle riserve in valuta estera e, ancor più una contrazione della base monetaria e delle riserve ufficiali. Un fenomeno questo in piena contraddizione con le politiche accomodanti volute dalle autorità cinesi (che si adoperavano invece per una espansione della base monetaria).
Le ultime misure adottate (taglio dei tassi e abbassamento del coefficiente di riserva obbligatoria per le banche) mostrano comunque che le autorità cinesi prendano in seria considerazione i rischi di uno scenario di hard landing, ma che per esse non rappresenta oggi lo scenario principale.
2) IL RIALZO DEI TASSI DELLA FED
E’ possibile che ci siano eccessivi timori riguardo il possibile inasprimento monetario negli Stati Uniti: la ripresa dell’attività economica americana sembra proseguire, sostenuta in particolare da un robusto mercato del lavoro.
Un calo dell’inflazione comporterebbe una rialzo dei tassi più graduale nel corso dei prossimi trimestri. Finora la Fed ha adottato un comportamento pragmatico e vanta una forte credibilità sui mercati. Paradossalmente, i timori su una politica monetaria americana inadeguata (ovvero un rialzo dei tassi “troppo affrettato”) rappresentano uno dei fattori che hanno portato alla recente correzione, sebbene un inasprimento monetario potrebbe essere interpretato come un evidente segno di solidità dell’economia del paese.
E’ probabile che, data la volatilità dei mercati, il crollo dei prezzi delle materie prime e dei prezzi del petrolio nell’estate , la Fed decida di posticipare il rialzo dei tassi da settembre a dicembre, anche in virtù di assenza di pressioni inflazionistiche con l’indice CPI fermo allo 0,2% nell’ultima rilevazione di luglio.
INFLAZIONE USA 2009 - 2015
3) I CONSUMI POSSONO PROSEGUIRE
Ricordiamoci sempre che le condizioni finanziarie in tutto il mondo industrializzato imposti dalle banche centrali rimangono ancora accomodanti.
Inoltre i cali significativi dei prezzi delle materie prime e del petrolio dovrebbero sostenere i consumi globali, soprattutto in USA e in Europa. Si può quindi escludere l’ipotesi di una recessione a livello mondiale in un contesto simile: nel corso degli ultimi 40 anni non si è mai osservata una contrazione dell’economia contestualmente ad un calo del prezzo dell’oro nero e delle materie prime.
Il crollo dei prezzi delle commodities sia agricole che non agricole e del petrolio rappresenta sempre un aumento del reddito disponibile per famiglie e imprese a parità di reddito lordo.
D’altronde la debolezza delle pressioni inflazionistiche dovrebbe indurre le banche centrali a mantenere i tassi bassi per un lungo periodo di tempo (il rialzo FED potrebbe essere di tipo “una tantum” e non si intravedono certo rialzi dei tassi da parte della BCE e della BOJ tutt’ora impegnate in un QE di dimensioni gigantesche) e le condizioni finanziarie dovrebbero rimanere quindi molto accomodanti, tali da favorire un aumento degli impieghi alle famiglie e alle industrie.
Il governatore della BCE dal canto suo nella conferenza stampa del 3 settembre ha sì abbassato le stime di crescita dell’area euro per il 2015 da 1.5% a 1.4% e per il 2016 da 1.9% a 1.7% ma ha fatto intendere che, se non raggiunti gli obbiettivi target di inflazione al 2% entro settembre 2016 il programma di QE potrebbe non solo durare oltre l’autunno 2016 ma anche subire variazioni al rialzo sull’ammontare degli acquisti mensili, ora fermo ai 60mld mensili (visto che la stessa BCE prevede che nei prossimi mesi l’area euro possa di nuovo cadere in deflazione, anche se per un ridotto periodo di tempo).
In conclusione: la decisa correzione dell’agosto 2015 avrebbe bisogno di ulteriori negative conferme da parte di dati macro-economici globali nelle settimane future per trasformarsi in un cambio di direzione del trend di lungo periodo dei mercati azionari da rialzista a ribassista.
Per ora invece, a parte la minore crescita nell’area del sud-est asiatico, non si hanno segnali palesi di imminente recessione nelle due macro aree più importanti del globo (USA e UE) quanto invece segnali di una crescita lenta ma duratura, alimentata proprio dai bassi costi delle materie prime sia agricole che ferrose e dal basso costo del petrolio e dalla benevolenza delle politiche monetarie delle banche centrali.
Da questo punto di vista, passata la volatilità nel breve termine, gli indici potrebbero riprendere, gradatamente, il loro originale trend rialzista.
INDICE SP500 DAL 2009 AL SETTEMBRE 2015

