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Wall Street: il rialzo dei rendimenti del T-Note può ostacolare il recupero delle borse nel secondo semestre

lunedì 2 luglio 2018, di Ufficio Studi Money.it

La riforma fiscale Usa e la guerra commerciale impostata dal Presidente americano Donald Trump nei confronti di Cina ed Europa sono stati i due grandi temi che hanno mosso le Borse mondiali nel primo semestre del 2018.

Wall Street ha visto il proprio potenziale di crescita ridursi, con i tre principali indici azionari che dopo una partenza spedita si sono assestati sotto i massimi storici toccati a gennaio. Nel corso dei primi sei mesi del 2018 il Dow Jones ha lasciato sul terreno l’1,81%, l’8,82% dai top di fine gennaio. E’ finora andata meglio all’S&P 500, in rialzo dal primo di gennaio dell’1,6in7% ma comunque in flessione del 4,45% dai massimi storici registrati lo scorso 26 gennaio a 2872,87 punti. Chi ha continuato a brillare è stato invece il Nasdaq, con il Composite Index dei titoli tecnologici che da inizio anno ha visto le sue quotazioni salire dell’8,79%.

Se i tagli al fisco implementati da Trump hanno rappresentato un assist per i conti economici delle grandi società e delle istituzioni finanziarie americane, le possibili ricadute delle misure protezionistiche più volte richiamate dal leader della Casa Bianca hanno ridimensionato le previsioni di crescita sugli utili aziendali di Wall Street e frenato le quotazioni del Corporate Usa.

Dopo anni di crescita, vi è tuttavia un’altra variabile che ha impattato sulle scelte di investimento dei risparmiatori: la politica monetaria statunitense e l’andamento dei titoli di Stato Usa.

Nei primi sei mesi dell’anno il neo Governatore delle Federal Reserve, Jerome Powell, ha alzato il costo del denaro due volte, portandolo nell’intervallo 1,75-2%. I due rialzi del primo semestre 2018 si sommano ai 3 registrati nel corso del 2017 e a quello del dicembre 2016. I tassi di interesse Usa sono così tornati sui valori dell’ottobre 2008, ossia ai livelli dello scoppio a livello mondiale della crisi dei mutui subprime.

Rialzo tassi interesse titoli di Stato Usa, quali implicazioni per Wall Street?

L’aumento del costo del denaro della Federal Reserve ha due implicazioni negative per le Borse americane. Da un lato appesantisce il costo del debito delle aziende statunitensi, dall’altro rende maggiormente attraenti i titoli di Stato Usa rispetto alla componente equity.

Gli sforzi della Fed per normalizzare la politica monetaria hanno infatti portato in questi primi mesi del 2018 i tassi del T-Note a 10 anni al 2,827%. A fine 2017 veleggiavano intorno al 2,45% di tasso. Soprattutto per la prima volta dal dicembre 2013, i rendimenti dei titoli di Stato Usa a 10 anni in questi mesi sono tornati sopra la soglia del 3%. E’ successo nel periodo tra il 14 e il 22 maggio scorso.

Chiusure mensili dei rendimenti del T-Note Usa a 10 anni sopra la soglia del 3% potrebbero favorire una rotazione dei portafogli dei grandi investitori, con i risparmiatori maggiormente propensi a inserire asset con una minor componente di rischio. Sul monthly chart si uscirebbe da quella lateralità che ne caratterizza le quotazioni che ne caratterizza i corsi dal marzo 2011.

Il segnale di rialzo dei tassi darebbe così seguito alla violazione al rialzo della trendline discendente tracciata sul grafico dei rendimenti del decennale Usa con i massimi del febbraio 1989 e del novembre 1994. Detta linea di tendenza è stata rotta al rialzo con il movimento di gennaio 2018.

Ecco dunque che per le settimane e i mesi a venire gli investitori dovranno guardare con particolare attenzione a questa variabile, strettamente legata anche all’evoluzione dell’inflazione in America. Incrementi dei rendimenti del T-Note oltre il 3% presumibilmente favoriranno un deflusso di capitale dal mercato azionario a quello obbligazionario, con inevitabili impatti negativi per gli indici di Wall Street. Specie dopo un mercato rialzista che ormai ha oltrepassato i 9 anni.

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