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Tra crisi societarie e crollo degli spettatori, conviene ancora investire nel calcio in Italia?

giovedì 6 luglio 2017, di Alessandro Cipolla

Sono sempre più i club in crisi mentre calano gli spettatori sia negli stadi che davanti alle TV: in Italia è ancora conveniente investire nel calcio o nel nostro paese il pallone ormai si è sgonfiato?

L’estate è il periodo del calciomercato, ma il mondo dello sport nazionale per eccellenza ribolle anche sui versanti economici e finanziari. Mentre infatti molti tifosi sognano sperando in grandi acquisti, altrettanti però vivono periodi di grande sofferenza vedendo le loro squadre del cuore a rischio fallimento.

Oltre a questo, c’è un prodotto calcio che in Italia sta vivendo un periodo di flessione e riflessione, come testimoniano i diritti televisivi della Serie A relativi al triennio 2018-2021 che al momento non sono stati ancora venduti.

Sullo sfondo poi c’è il problema degli stadi e del calcioscommesse, due tematiche che hanno portato molti tifosi ad allontanarsi dal pallone italico. Alla luce di tutto questo, nel nostro paese quindi è ancora conveniente investire nel calcio?

I club in crisi in Italia

Rispetto agli scorsi anni non si è registrata finora quella solita ecatombe di società professionistiche a rischio fallimento. Un segno questo che comunque la riforma soprattutto della vecchia Lega Pro, che ora tornerà a chiamarsi Serie C, sta dando dei risultati.

Alla scadenza del 5 luglio per presentare, oltre alla domanda d’iscrizione, anche la fideiussione necessaria di 350.000 euro sono in quattro le società in difetto: Akragas, Maceratese, Mantova e Messina.

A queste si devono aggiungere il Latina, dichiarata fallita già durante lo scorso campionato di Serie B, e il Como dove si è registrata l’ennesima farsa con il club che non è riuscito neanche ad affiliarsi alla Figc dopo un cambio societario dai lati molto oscuri.

Le quattro società che non hanno presentato la fideiussione avranno tempo comunque fino al 14 luglio per rimediare, pena l’esclusione. Al momento però, soltanto Messina e Akragas possono nutrire chance di riuscire a salvarsi.

Dal 2010 sono stati quasi 200 i club a fallire nel nostro calcio. Un fenomeno questo che ha riguardato soprattutto società di terza serie, anche se non mancano casi eccellenti come il Parma.

In un passato neanche tanto remoto però, anche la Fiorentina dovette ricominciare dalla C2 che allora era la quarta serie, mentre Napoli e Genoa furono costrette a vivere dure crisi che le trascinarono in C1.

Il fallimento del Parma e le difficoltà del Palermo dimostrano come anche squadre di rango possano andare in grande crisi negli ultimi tempi. Per quanto riguarda i ducali, la colpe sono da imputarsi soprattutto a una gestione scellerata della vecchia dirigenza, una vicenda di cui ora se ne stanno occupando i tribunali.

Il Palermo invece, nonostante le numerose cessioni eccellenti degli ultimi anni (Dybala, Cavani e Pastore solo per citarne alcune) è in difficoltà. Il bluff della cessione a Paul Baccaglini ha costretto Maurizio Zamparini a restare al timone, con il numero uno rosanero che ha annunciato di voler proseguire per far tornare il club in massima serie.

Ma perché nonostante i tanti soldi dei diritti TV questi club vanno in crisi? A riguardo i motivi sono diversi. Per prima cosa, bisogna purtroppo annoverare che molte società, anche della nostra Serie A, sono state gestite in maniera poco limpida.

Dirigenti truffaldini a parte, spesso le difficoltà sono dovute a scelte strategiche sbagliate. Dopo anni di parsimonia, dovuti alla grande crisi dei primi anni di questo millennio risolta poi con il discusso “decreto spalmadebiti”, il calciomercato anche da noi è tornato a impennarsi.

Le grandi cifre degli ultimi trasferimenti hanno fatto anche fatto sorgere il dubbio di una sorta di nuova bolla speculativa nel calcio italiano, che potrebbe mettere a rischio le finanze di molti club.

I cosiddetti top club infatti, sempre più attratti dai lauti incassi derivanti dalla partecipazione alla Champions League, non si risparmiano più in sede di calciomercato nel tentativo di rimanere competitivi nei confronti anche delle maggiori squadre europee.

L’acquisto di grandi campioni in più, è un ottimo veicolo di crescita del proprio marchio soprattutto nel ricco mercato asiatico, che ormai rappresenta la nuova grande frontiera dove rapportarsi e avere successo.

I club medio-piccoli però anche loro stanno cercando di alzare l’asticella dei loro acquisti. Questo è dovuto soprattutto per un motivo: se si riesce a piazzare il colpo giusto, questo potrebbe fruttare una plusvalenza milionaria.

Prendiamo l’esempio di Andrea Belotti. Nel 2015 il Torino lo acquista dal Palermo per 7,5 milioni, un esborso non indifferente per la società soprattutto visto che si trattava di un ragazzo di 22 anni che ancora non era esploso.

Dopo le ultime grandi stagioni adesso Belotti ha una clausola rescissoria di 100 milioni, con il presidente Urbano Cairo che avrebbe anche rifiutato per il suo centravanti offerte maggiori ai 50 milioni.

Visto le grandi cifre che girano al momento, questi club quindi se fiutano l’affare giusto possono guadagnare ottime somme. Basti pensare che in questo mercato finora la Sampdoria, cedendo i suoi quattro pezzi più pregiati, ha incassato quasi 100 milioni.

Però questo giochetto non sempre riesce. Per prendere potenziali campioni anche qui servono investimenti non bassi, se dunque poi il calciatore non si impone il rischio di una svalutazione è alto.

Ecco perché molti club preferiscono non fare il proprio passa più lungo della gamba, vedi Chievo o Bologna, mentre altri come Genoa e Sampdoria mettono in pratica delle campagne acquisti più aggressive.

La vicenda dei diritti televisivi

Nel 2015 fece notizia il fatto che i diritti televisivi per le partite della Serie A fino al 2018 furono venduti nel loro complesso per 1,2 miliardi di euro. Un record questo che ha arricchito soprattutto le maggiori squadre del nostro paese.

L’esborso economico da parte di Sky e Mediaset è stato notevole, ma i risultati scarsi. L’emittente di Murdoch infatti non ha accresciuto come sperava il proprio numero di abbonati mentre quella della famiglia Berlusconi, che si è aggiudicata a peso d’oro anche i diritti per la Champions, è andata in forte crisi.

Gli ultimi rossi dei bilanci Mediaset infatti sono dovuti in gran parte al forte esborso per i diritti del calcio, con Premium che anch’essa come Sky non ha ottenuto quel balzo negli abbonamenti sperato.

Anche guardando i numeri degli spettatori che guardano le partite davanti gli schermi delle pay-tv, questi sono in costante calo. Il fenomeno quindi non riguardo solo gli stadi, ma anche le televisioni.

La Lega Calcio nella recente asta per i diritti della Serie A per il triennio 2018-2021 contava di incassare 1,4 miliardi in totale. Invece è stato tutto rimandato in quanto sono arrivate poche offerte e soprattutto basse, con Mediaset che ha rinunciato al momento a partecipare.

Che il nostro calcio sia stato sopravvalutato negli ultimi anni? Probabilmente è così, visto che non si è riusciti a comprendere il campanello di allarme derivante dal calo degli spettatori negli stadi.

Il fenomeno in questione è stato spesso ricondotto al problema degli stadi dei nostri club, spesso fatiscenti e molto meno accoglienti rispetto a quelli inglesi e tedeschi, dove la percentuale di riempimento è doppia rispetto che da noi.

In effetti è innegabile che questo sia un problema, ma non meno rilevante in confronto ad altri aspetti che invece non vengono minimamente affrontati. Per prima cosa c’è la questione della tessera del tifoso e delle trasferte vietate.

Le tante limitazioni imposte non hanno solo allontanato i violenti, che comunque ancora imperano nelle nostre curve, ma anche molti semplici tifosi spesso scoraggiati dall’acquisto dei biglietti visto i tanti procedimenti burocratici necessari.

Il secondo problema è quello della credibilità. Le problematiche finanziarie dei club e gli scandali dovuti al calcioscommesse hanno allontanato molti appassionati dal pallone, decidendo così di passare il proprio fine settimana in altri modi.

Prendiamo il caso di Armando Izzo, il difensore del Genoa condannato durante questo campionato a 18 mesi di squalifica per una presunta combine risalente a quando il calciatore militava con la maglia dell’Avellino.

Poco dopo, la Corte Federale d’Appello ha ridotto la squalifica da 18 a 6 mesi, che saranno scontati nella quasi totalità nei mesi estivi quando il campionato è fermo. Ma questo è solo un piccolo esempio.

Sentenze anche abbastanza dure da parte della giustizia sportiva sono state poi puntualmente ammorbidite dal TNAS, il Tribunale dell’Arbitrato del CONI che in questi anni ha scontato centinaia di mesi di squalifica a giocatori e dirigenti coinvolti nei vari scandali.

Il vedere un giocatore che si è venduto una partita tornare in campo dopo pochi mesi, è il peggior spot possibile per il nostro calcio. Una scarsa credibilità che spesso ha allontanato anche (seri) investitori stranieri soprattutto per quanto riguarda le squadre minori.

Conviene ancora investire nel calcio in Italia?

In Italia spesso il possedere una squadra di calcio è stata una questione di cuore. Guadagni o perdite a parte, ci sono state figure che consideravano i club come una parte della propria famiglia.

Basti pensare ai Moratti, agli Agnelli o ai Berlusconi, ma anche in squadre minori alle famiglie Stirpe a Frosinone e Gabrielli a Cittadella. Adesso invece il trend è cambiato anche se rimangono alcune situazioni molto più romantiche.

Investire nel calcio nella nostra Serie A è dispendioso ma ancora redditizio. Con gestioni oculate, guardare Chievo ed Empoli, anche piccole piazze possono generare buoni guadagni.

Puntare sui settori giovanili e sulla competenza del proprio staff possono produrre autentiche miniere d’oro. Pensiamo alla famiglia Pozzo, che con l’Udinese ha venduto giocatori a cifre esorbitanti andando poi a investire nella ricca Inghilterra, prendendo il Watford nella loro seconda serie e portandolo nella Premier League dei grandi guadagni.

Ci ha provato anche Massimo Cellino acquistando il Leeds, nobile decaduto del calcio d’Oltremanica, ma il giochetto non è riuscito tanto che l’ex presidente del Cagliari ha di recente ceduto il club.

In generale il rischio maggiore deriva dal grande divario tra la Serie A e la Serie B. La retrocessione di un club, nonostante il paracadute, può essere drammatico se non è accompagnata da una rapida risalita.

Un grande vantaggio che comunque il calcio nostrano garantisce sempre è quello della visibilità. Chi diventa presidente di un club di Serie A diventa anche di conseguenza un personaggio pubblico.

Pensiamo a Claudio Lotito, che da anonimo imprenditore della capitale è diventato uno dei padroni del nostro calcio, oppure a Massimo Ferrero che diventando presidente della Sampdoria si è guadagnato gli onori di essere considerato un assoluto personaggio mediatico.

Una popolarità che si riflette anche sull’immagine delle proprie aziende. Suning infatti, colosso cinese degli elettrodomestici, non ha mai nascosto di aver acquistato l’Inter per poter così far conoscere il proprio marchio in Europa.

Il calcio quindi può essere ancora considerato un buon investimento in Italia se fatto nella giusta maniera, anche se ciò non toglie che il nostro pallone al momento non goda di ottima salute e che di medici capaci di guarirlo, all’orizzonte, purtroppo non se ne vedono.

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