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Split payment IVA illegale per le PMI: la denuncia dell’Ance alla Commissione UE, rischio cancellazione
mercoledì 29 aprile 2015, di
Lo scorso 1° gennaio 2015 è entrato in vigore lo split payment, così come previsto dalla Legge di Stabilità.
Il meccanismo di scissione dei pagamenti stabilisce che i soggetti che effettuano cessioni di beni e servizi nei confronti della Pubblica Amministrazione, non devono versare all’erario l’IVA. Sarà invece compito della PA «scindere» i versamenti, pagando al fornitore il corrispettivo della cessione di beni o della prestazione di servizi al netto dell’Iva e all’erario l’Iva addebitata dal fornitore.
(Per saperne di più leggere qui: IVA Reverse Charge 2015: split payment, che cos’è e come funziona? Le istruzioni del MEF)
Una decisione contestata su più fronti, che sta creando non pochi problemi alle imprese italiane.
Ebbene, secondo l’Ance, lo split payment sarebbe illegale poiché in netto contrasto con la direttiva europea sui pagamenti e con la disciplina contenuta nella "Small Business Act".
L’Associazione Nazionale Costruttori Edili ha dunque deciso di rivolgersi alla Commissione Europea sostenendo anche le ragioni della Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa (Cna Costruzioni).
Split payment: perché è illegale
In base a quanto sostenuto dall’Ance lo split payment risulterebbe un meccanismo inammissibile e in contrasto con le direttive europee. Nel dettaglio, la violazione riguarderebbe in particolare le norme sui ritardi di pagamento.
Il testo di riferimento a livello comunitario per le PMI è lo "Small Business Act", contenente le misure volte a salvaguardare piccole e medie imprese dell’Unione. All’interno del documento troviamo il principio del “Think Small First”, che stabilisce che lo Stato debba salvaguardare in prima battuta le piccole imprese.
Il meccanismo alla base della scissione dei pagamenti invece prevede che la PA debba versare l’IVA direttamente all’Erario e non ai fornitori, creando così una sorta di "corsia preferenziale"che danneggia le PMI. Perchè? Perché nonostante l’impresa non a riceva più l’imposta sul valore aggiunto dalla PA,deve comunque pagare l’IVA per le fatture ai propri fornitori. Con lo split payment viene dunque meno la possibilità di compensare l’Iva versata con quella ricevuta, poiché la PA regola la propria posizione direttamente con il Fisco. E a sistemare la situazione non basteranno le semplificazioni e i rimborsi previsti dal Governo, molte imprese rischieranno comunque di andare in sofferenza.
Split payment e reverse charge: una zavorra per le PMI
Secondo un’analisi della CNA lo split payment peserà, e pure parecchio, sui bilanci delle PMI: nel corso dei primi tre mesi del 2015 le imprese che hanno rispettato l’obbligo di utilizzare split payment e reverse charge avranno un buco mensile di 2 miliardi, proprio a causa della mancata compensazione dell’IVA.
Secondo l’associazione inoltre, le imprese che non riuscissero a riequilibrare il flusso finanziario di cassa e dovessero ricorrere alle banche, spenderebbero non meno 920 milioni di euro l’anno, sempre che trovino un istituto disposto a prestare loro il denaro richiesto. Inoltre queste transazioni sono soggette a un interesse superiore al 6%.
A questo punto, secondo lo studio, l’unico modo per risolvere la situazione sarebbe quello di:
“mandare subito in soffitta, e contemporaneamente, sia Split payment che il Reverse charge”.
Split payment: la parola spetta alla Commissione
La parola passa dunque alla Commissione Europea. Nel caso in cui Bruxelles dovesse confermare l’inammissibilità della misura, scatterebbero immediatamente le clausole di salvaguardia volte ad attivare forme alternative di copertura finanziaria che costeranno al Governo 1,7 miliardi.
In base alle stime fatte in passato, con lo split payment l’Esecutivo dovrebbe ricavare 998 milioni di euro, cui si sommano i 728 derivanti dal reverse charge alla grande distribuzione.