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Rating e rendimenti dei bond non vanno più a braccetto
lunedì 28 aprile 2014, di
Un investitore medio potrebbe pensare che i rating assegnati dalle principali agenzie di valutazione del debito siano in grado di determinare con precisione la scala dei rendimenti sui titoli di stato dei vari paesi. In realtà, dopo la crisi finanziaria del 2008 e quella del debito pubblico europeo del 2010-2012, rating e rendimenti dei bond governativi non sempre sono andati a braccetto. La perdita di credibilità delle agenzie di rating dopo le recenti crisi ha avuto un impatto enorme sul confronto delle due variabili chiave per giudicare il debito pubblico: rating sovrano e tasso di interesse richiesto dal mercato per sostenerlo. Oggi più che mai emergono forti incongruenze tra rating e tassi, in certi casi addirittura eclatanti.
Un caso emblematico è lo spread tra i rendimenti dei titoli di stato quinquennali italiani e quelli statunitensi, oggi ridotto al lumicino ad appena 12 basis point. L’Italia non può essere di certo ritenuta più affidabile degli Usa visto che è in recessione da anni, presenta una disoccupazione record e un debito pubblico di oltre 2.100 miliardi di euro. Gli Stati Uniti hanno i loro problemi legati a debito e deficit, ma anche un’economia in crescita e sono pur sempre la prima potenza economica del globo. Eppure, sulla scadenza a cinque anni, lo scorso 3 aprile i Btp erano arrivati a rendere poco meno dei T-Bond Usa: 1,76% contro l’1,78%.
Questo fenomeno non trova spiegazione se lo si osserva con l’analisi del rating. Considerando il giudizio di S&P, l’Italia ha un rating BBB (quasi “spazzatura”) mentre gli Stati Uniti AA+ (quasi il massimo, ma secondo Moody’s e Fitch hanno il rating AAA). Le anomalie non riguardano solo l’Italia e potenze economiche più blasonate. Facciamo il confronto tra Giappone e Germania sulla scadenza decennale. Tokyo si finanzia allo 0,62%, Berlino all’1,49%. Eppure il paese del Sol Levante ha il debito pubblico più alto del mondo, viene da anni di stagnazione economica e da un ventennio di deflazione.
La Germania è un’economia straordinariamente solida, con un surplus commerciale da urlo e un debito sotto controllo. La prima economia europea ha un rating AAA, ma il Giappone ha un giudizio più basso ad AA-. Una risposta a queste contraddizioni tra rating e tassi può arrivare dalla differenza tra i tassi nominali e quelli reali (ovvero depurati dall’inflazione). Il rendimento di un bond governativo non viene fissato dal mercato valutando esclusivamente il rischio default (espresso dal rating), bensì anche dalle aspettative di inflazione e sui tassi di interesse della banca centrale. I tassi nominali arrivano ad essere più alti quando le attese di inflazione sono maggiori.
Ecco perché oggi i rendimenti dei titoli di stato dei paesi periferici dell’eurozona si stanno schiacciando su livelli minimi, nonostante i rating bassi. Il mercato sconta uno scenario deflattivo e la svalutazione salariale in corso. Un altro elemento in grado di fornire una risposta alle anomalie dei rendimenti è la speculazione unidirezionale, ovvero quando il mercato si sposta in massa verso un’area economica a caccia di profitti maggiori di quelli attesi investendo in altre aree economiche. E’ quello che sta accadendo oggi ai bond pubblici dell’area euro.