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Professionisti italiani: quando un sogno costa troppo
martedì 17 dicembre 2013, di
Qualche tempo fa abbiamo parlato dei cosiddetti "professionisti poveri", che a causa della crisi vedono crollare i loro redditi. Facciamo un passo indietro e andiamo a coloro che ancora non lo sono e studiano per diventarlo, gli aspiranti professionisti italiani.
Almeno fino a 10 anni fa si trattava di un percorso fattibile, si prendeva una laurea specifica perchè si sognava intraprendere una determinata carriera, si voleva seguire la passione, le competenze, le orme paterne/materne. Oggi?
Oggi purtroppo il percorso presenta più ostacoli perchè il mercato del lavoro è saturo di tanti professionisti e in affanno a causa della crisi. Molti studiano per fare l’architetto e diventano cassieri, altri studiano per fare i giornalisti e diventano commessi, non mancano poi i laureati in giurisprudenza al call center.
Chi se la passa peggio?
Non solo. Coloro che hanno la perseveranza, nonostante tutto, di intraprendere questa strada devono fare i conti con mesi e mesi di praticantato in cui non esiste retribuzione, se non un irrisorio rimborso spese. Quanti possono permetterselo in tempo di crisi?
L’Huffington Post ha raccolto alcune storie di questi aspiranti professionisti da cui è emerso chi se la passa peggio.
In pole position ci sono i commercialisti, per cui accedere alla professione è diventato un vero traguardo. Secondo l’Irdec (Istituto di Ricerca dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili) nell’ultimo triennio si è verificata una diminuzione del 27% dei tirocinanti: i laureati in economia non aspirano più alla libera professione. I motivi sono tanti e, forse, ce n’è uno che pesa più di tutti. Prima coloro che svolgevano 18 mesi di tirocinio e superavano l’esame di Stato erano iscritti automaticamente anche al registro dei revisori legali dei conti (ciò si traduce in maggiori opportunità di lavoro), oggi no. Occorrono ulteriori 36 mesi di praticantato e un nuovo esame. Bella beffa no?
Dura la vita anche per diventare avvocati: tirocinio, rimborso spese (se c’è), tanti oneri e pochi onori. Si lavora al pari degli altri, ma con nessun diritto: non ci sono ferie o malattie pagate, straordinari, niente.
E non possono mancare i precari tra i precari, ovvero i giornalisti. Per l’iscrizione all’albo si presentano due strade: frequentare una scuola di giornalismo riconosciuta dall’OdG (per un modico prezzo che va dagli 8.000 ai 20.000 euro) o svolgere il praticantato in una redazione, ma le condizioni non sono dissimili dagli avvocati o da altre categorie: non è previsto uno stipendio e, a lungo andare, inseguire un sogno, purtroppo, diventa troppo costoso.
Questa è un’amara riflessione a cui sono portati molti laureati con la triste consapevolezza che non fare il lavoro che si è scelti o per cui si è portati è una triplice perdita:
- per sé stessi, le proprie potenzialità, le proprie aspettative;
- per il settore desiderato che non gode della professionalità che abbiamo acquisito o stiamo acquisendo con passione ed entusiasmo;
- per il settore in cui ci si trova accidentalmente a lavorare, per cui magari non siamo portati, ma a cui dobbiamo "abituarci" perché non c’è lavoro e dobbiamo accettare tutto.
Insomma, come perdere una generazione.