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PMI, Fondo Minibond: che cos’è e quali sono i requisiti per accedere?

martedì 15 ottobre 2013, di Valentina Pennacchio

Fondo Minibond: che cos’è? Una forma di finanziamento per le piccole e medie imprese (PMI) non quotate in Borsa e prive di rating, alternativo a quello delle banche, introdotto dal Decreto Sviluppo 2012.

Quest’ultimo ha previsto la possibilità per le PMI non quotate in Borsa di emettere obbligazioni (possono essere anche “ibride”, ovvero prevedere delle clausole di partecipazione agli utili e di subordinazione, purché con scadenza uguale o superiore a 60 mesi), titoli di debito e cambiali finanziarie (di durata fino a 36 mesi).

Il tasso di interesse non può essere inferiore a quello ufficiale di riferimento vigente. Per ulteriori informazioni sul regime fiscale vi invitiamo a consultare la circolare 4/E del 6 marzo 2013 dell’Agenzia delle Entrate.

Il Fondo Minibond, che sarà dotato di un plafond iniziale di circa 100-150 milioni di euro, per una durata massima di 7 anni, è uno strumento per migliorare la liquidità delle PMI affinché queste imprese possano attuare progetti di crescita e rafforzamento sul mercato.

Vincenzo Boccia, vice presidente di Confindustria e presidente della Piccola Industria, ha parlato in questi termini del Fondo Minibond:

“Stiamo affrontando la terza ondata di credit crunch e sono le PMI a subire il contraccolpo più forte, per questo trovare vie alternative di finanziamento è una priorità. Il Fondo rappresenta quindi un primo importante passo in questa direzione”.

Quali sono i requisiti per accedere?

Il Fondo Minibond può essere applicate alle PMI che hanno meno di 250 dipendenti ed un fatturato annuo inferiore a 50 milioni di euro oppure con un totale di bilancio inferiore a 43 milioni di euro. Restano escluse le mini-imprese.

Visto che le PMI non quotate sono prive di rating hanno bisogno di uno “sponsor finanziario” in grado di supportare il collocamento dei bond presso investitori specializzati. Quindi le società non quotate possono emettere minibond purchè:

  • abbiano uno sponsor finanziario;
  • l’ultimo bilancio dell’emittente sia stato revisionato da un revisore legale o da una società di revisione;
  • i titoli siano collocati presso investitori qualificati e circolino esclusivamente tra gli stessi, a patto che non siano direttamente o indirettamente soci.

Cosa deve fare lo sponsor?

Lo sponsor finanziario è obbligato a tenere in portafoglio fino alla scadenza una quota dei titoli emessi:

  • quota non inferiore al 5% del valore di emissione per le emissioni fino a 5 milioni di euro;
  • in aggiunta alla quota suddetta, una quota del 3% del valore di emissione eccedente 5 milioni di euro e fino a 10 milioni di euro;
  • in aggiunte alle due quote suddette, il 2% del valore di emissione eccedente10 milioni di euro.

Lo sponsor deve altresì:

  • facilitare la liquidità degli scambi sui titoli per tutta la durata dell’emissione;
  • classificare la categoria di rischio dell’emittente, aggiornando la classificazione almeno ogni 3 mesi, in riferimento alle qualità creditizie dell’impresa;
  • pubblicare il bilancio degli ultimi due esercizi insieme ad un documento informativo e una versione del prospetto di quotazione in forma semplificata.

I minibond non decollano: perché?

Al momento, il Fondo Minibond non ha avuto un riscontro importante tra le PMI italiane, forse per il taglio di emissione richiesto: si va da un investimento minimo di 50 milioni di euro ad un massimo di 150 milioni di euro.

Ma, secondo il capo delle emissioni obbligazionarie high yield di una primaria banca italiana, le motivazioni sarebbero altre, il vero problema è la mancanza di investitori qualificati e specializzati. Egli individua sostanzialmente 3 motivi per cui i minibond non decollano:

  • il mercato dei minibond non è liquido, dal momento che l’investimento deve essere mantenuto fino a scadenza e invece gli investitori cercano “strumenti liquidi, valutati con rating trasparenti e possibilmente poco costosi”;
  • i minibond non sono soggetti al giudizio delle agenzie di rating (S&P, Moody’s, Fitch);
  • gli investitori istituzionali “devono dotarsi di costose strutture interne di analisi del credito, strutture fisse, che spesso non sono adeguatamente ricompensate dai tassi offerti”.

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