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Mercati Emergenti nel 2016: opportunità di investimento o meglio evitarli?
martedì 22 dicembre 2015, di
Il tema dell’investimento nei paesi emergenti credo sarà uno dei principali fra quelli ricorrenti nel 2016 ed è quindi necessario affrontare serenamente la questione, senza preconcetti o pregiudizi.
Come è noto, nel 2° semestre del 2015 i prezzi degli asset dei mercati emergenti a livello globale hanno subito pesanti fasi di volatilità.
Ne ricordo brevemente le cause:
- La flessione dei mercati azionari cinesi seguita alla svalutazione dello Yuan del mese di agosto.
- L’eccesso di offerta di materie prime e di petrolio, il crollo dei prezzi, e gli effetti nefasti sulla bilancia dei pagamenti dei paesi emergenti che ne sono esportatori netti.
- La politica monetaria rialzista della FED sui tassi USA e il rialzo del dollaro USA, con i suoi effetti deleteri sull’indebitamento in dollari delle corporates dei paesi emergenti.
Ritengo che i fattori 2)e 3)saranno elementi di nervosismo per i mercati anche per il primo semestre 2016.
Nella tabella qui in basso, costruita mediante estrapolazione di dati Bloomberg, è ben messo in evidenzia il legame tra dollaro e mercati emergenti.
In arancione l’indice azionario MXEF(Morgan Stanley Capital Index Emerging Markets)è correlato in maniera chiaramente negativa con l’indice di forza relativa del dollaro BBDXY(cioè il Bloomberg Dollar Index,un paniere di 10 valute mondiali leader rispetto al dollaro).
Tanto più si rafforza il dollaro, tanto più si indeboliscono le azioni dei paesi emergenti.
Inoltre, come sapete, l’aumento della volatilità sui mercati che abbiamo avuto questa estate è stato amplificato a sua volta dalle preoccupazioni circa le prospettive di crescita delle principali economie emergenti, tra cui Cina e Brasile e Russia: Il Brasile per esempio, crescerà quest’anno ad un tasso negativo del -4.5%, la Russia invece al -4.1%.
Anche la Cina dovrebbe assestarsi su ritmi inferiori rispetto agli anni passati e chiudere il 2015 con un 6.8% di crescita, ben lontana dai ritmi a 2 cifre ai quali ci aveva abituato negli anni passati.
Sinché non ci sarà crescita non ci saranno utili aziendali né un aumento dell’attivo della bilancia dei pagamenti. Questo è uno dei motivi per cui raccomando prudenza nell’investire negli EM.
Ma ce ne sono altri.
Nel 2016 sarà più importante che mai focalizzarsi sull’impatto che la politica monetaria della FED avrà sui bond e sulle azioni dei paesi emergenti e sulle conseguenze, a livello mondiale, del crollo dei prezzi delle materie prime (di cui molti EM sono esportatori netti).
Chi è fuori da investimenti sui paesi emergenti per il momento attenda per investire.
Per capire il “timing” per comprare, cioè quando vale la pena di investire nei mercati emergenti dobbiamo osservare i flussi di capitale in uscita: per il momento assistiamo ad una emorragia di denaro che fuoriesce da questi mercati e “rientra in patria”, cioè soprattutto in USA.
Questo processo potrebbe continuare fino all’estate del 2016. Sinché non si inverte questo movimento internazionale di capitali, ogni rimbalzo dei prezzi sugli asset degli EM sarà di poco conto e di breve durata.
Inoltre il potenziale cambio di asset allocation da titoli obbligazionari ed azionari degli EM verso i titoli USA potrebbe avere un impatto notevole sia sui tassi d’interesse USA (in riduzione) che sul mercato azionario USA (in rialzo) che sul dollaro (in rafforzamento).
Allo stesso tempo questa rotazione di portafoglio globale potrebbe continuare a produrre effetti deleteri sugli asset degli EM che abbiamo già sperimentato a partire dall’estate del 2015.
In poche parole, poiché stiamo parlando di movimenti mensili di decine e decine di miliardi di dollari, la discesa dei prezzi degli asset dei paesi emergenti potrebbe continuare.
Riguardo all’entità dei flussi, nella seconda parte del 2015 I mercati emergenti hanno sperimentato un ingente deflusso netto di capitali per la prima volta dal 2013, proprio mentre la Fed si prepara ad alzare i tassi per tutto il 2016, come ha già ricominciato a fare nella riunione del 16 dicembre 2015.
Secondo stime di Bloomberg basate su fondi ritenute attendibili (analisi fatte dall’IIF, Insititue of International Finanace) i portafogli degli investitori hanno venduto circa $29 bln di asset dei mercati emergenti nei mesi di Luglio ed agosto 2015, oltre a 5 mld di dollari fuoriusciti in settembre, che sono stati parzialmente recuperati nel mese di ottobre con 12 bn di dollari di afflussi, ai quali aggiungere altri 3.5bn di deflussi in novembre.
Nemmeno le stime per il mese di dicembre preannunciano nulla di buono.
Guardando a questi numeri mi riesce difficile pensare che la mole così massiccia di denaro fuoriuscita dai mercati emergenti possa nel breve termine invertire la rotta e rientrare in quei mercati.
I fattori di cui ai punti 1), 2) e 3) che abbiamo sopra menzionato, provocando deflussi di denaro dagli EM (che rimpatriava verso i paesi occidentali), hanno prodotto a loro volta effetti concreti sui mercati finanziari, quali ad esempio:
– A) Forte indebolimento delle valute emergenti contro i l dollaro (il rublo si è svalutato del 30%, il real brasiliano del 28,5%, il peso messicano dell’11% per es.). Ciò ha determinato un aumento dell’inflazione importata in quei paesi che più hanno subito la svalutazione verso il dollaro.
– B) Aumento del rischio di credito legato ai paesi emergenti, che ha portato ad un significativo ampliamento degli spread obbligazioni EM / U.S. Treasury. L’aumento degli spread è avvenuto sia per un peggioramento intrinseco dei bilanci aziendali, con un conseguente peggioramento della qualità dei prestiti, sia per un aumento del debito in divisa locale dovuto all’aumento della quota denominata in valuta estera. Ciò vale sia per i bilanci pubblici che per i bilanci aziendali.
L’esempio della brasiliana Petrobras è lampante da questo punto di vista. L’aumento dei tassi di mercato secondario al quale stiamo assistendo comporterà inevitabilmente un aumento del costo della raccolta sul mercato primario.
Nella tabella sottostante abbiamo evidenziato l’andamento da giugno a dicembre di un indice proprietario di JP Morgan (EMBI) che misura lo spread di rendimento in valuta locale di un basket di bond emergenti sopra il rendimento dei treasury USA, linea di colore arancione. Poi lo abbiamo raffrontato all’indice azionario dei paesi emergenti Morgan Stanley Capital Index EM (indicatore MXEF in linea bianca): è evidente che più aumenta lo spread di rendimento dei bond emergenti sui treasury e più aumentano le vendite sui titoli azionari dei paesi emergenti. Il deflusso di denaro dagli EM colpisce sia i fondi azionari che i fondi obbligazionari quindi.
C) Peggioramento del rating da parte delle agenzie internazionali quali Moody’s o S&P (come già è successo al Brasile, di recente downgradato a BB+ cioè “junk”).
Assisteremo quindi ad un aumento del costo del debito all’emissione, per i prestiti degli emittenti emergenti, sia pubblici che privati, e rating più bassi. Mi aspetto qualche default importante da questo punto di vista, in alcune corporates aziendali dei paesi emergenti. Forse ci sarà il default anche di alcuni stati emergenti (mi riferisco al Venezuela).
D) La discesa dei prezzi delle commodities ha avuto e avrà un impatto negativo sulle valutazioni dei titoli equity con peggioramento degli indicatori di bilancio più importanti (diminuzione del ROE, aumento del P/E, peggioramento del Net Debt/EBITDA, ecc.).
La tabella sottostante raffronta il Bloomberg Commodity Index (linea bianca ) con l’indice azionario MSCI EM (MXEF in linea arancione) da dicembre 2014 a dicembre 2015: essa rappresenta bene la forza del legame tra le due variabili, con l’ indice sulle commodities che sembra "guidare" al ribasso l’indice azionario degli EM soprattutto dalla fine di settembre ad oggi.
CONCLUDENDO
Dall’analisi sin qui descritta ritengo che sia necessario trarre alcune conclusioni: non è ancora il momento di comprare ETF sui paesi emergenti o i fondi specializzati in questo comparto.
Prima di valutare un investimento nei Mercati emergenti abbiamo bisogno di:
– 1) una inversione del trend di forza relativa del dollaro.
– 2) una inversione del trend ribassista sul petrolio e sulle materie prime.
due fattori indispensabili per poter pensare ad una ripresa dei prezzi dei bond e delle azioni dei paesi emergenti.
Sino ad allora qualsiasi rimbalzo sarà non duraturo e destinato ad affievolirsi ben presto, perché non supportato dai grandi volumi.
Abbiamo bisogno quindi di:
– A) una FED molto più accomodante per il 2016
– B) Paesi OPEC molto più decisi a diminuire la produzione giornaliera di oro nero
– C) una ripresa dell’economia cinese oltre le timide aspettative del +6,7% per il 2016 per poter ipotizzare un reversal del trend dei prezzi degli ETF sui paesi emergenti quotati sui mercati regolamentati.