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Le tre grandi verità sull’Eurozona e una crisi già scritta: parla William Hague

venerdì 10 luglio 2015, di Erika Di Dio

Ricordo bene la fronte aggrottata del president Chirac, seduto tra gli splendidi arredi del Palazzo dell’Eliseo, mentre gli spiegavo nel maggio 1998 perché pensavo che l’euro non avrebbe funzionato come speravano i leader europei. Al tempo dissi che l’euro non solo sarebbe stato negativo per la Gran Bretagna, ma che non era neanche una buona idea per alcuni dei paesi disperati ad aderire.

Dopo aver dato il mio discorso quella sera presso la European Business School di Fontainebleau, Chirac e molti altri erano sconvolti. Dissi che l’adesione all’euro avrebbe aggravato la recessione in alcuni paesi, e che altri si sarebbero trovati “intrappolati in un edificio in fiamme senza uscita” – una frase che mi ha portato una buona dose di polemiche.

Sono stato considerato nei circoli UE come figura piuttosto eccentrica, quasi pietosa nel non vedere il grande cambio storico e la prosperità verso cui ci si stava dirigendo. Un ex collega inglese mi disse che ero diventato “più estremista della stessa signora Thatcher”, come se questo fosse un orrore inimmaginabile.

Euroscettici avevano ragione

Non vi è dubbio che ho sbagliato su certi punti quando ero alla guida del mio partito.

Ma spero che i leader dell’eurozona di oggi ricorderanno che quelli di noi che criticavano l’euro al momento della sua creazione avevano ragione nelle loro previsioni (tagli ai salari, aumenti delle tasse, e la creazione di un circolo vizioso di disoccupazione, come sperimentato in abbondanza ora in Grecia). In caso contrario, rischiano di far aumentare i monumentali errori di giudizio, analisi e leadership fatti dai loro predecessori nel 1998.

L’economia ha poche leggi, motivo per cui le previsioni economiche sono così follemente inaffidabili. Se c’è una regola, è questa: che se si fissano insieme delle cose che variano naturalmente, come i tassi di interesse e di cambio, altre cose, come ad esempio disoccupazione e salari, cambieranno ancora di più. E in una singola area valutaria, che ha esattamente questo effetto, si può raggirare questo problema solo pagando grandi sussidi alle aree a basso rendimento, aspettandosi che i lavoratori si spostino in gran numero in aree a più alto rendimento.

Questo è quello che succede negli Stati Uniti, o anche in Gran Bretagna. In generale funziona, nell’eurozona non funziona, perché o i Greci devono curare la loro bassa performance economica o i tedeschi devono pagar loro grandi sussidi, e nessuno dei due è disposto o capace di farlo. Questo è il problema dell’Eurozona, e continuare a negarlo non farà altro che peggiorare la situazione.

Le tre sacre “verità”

Ci sono tre importanti verità che i leader dell’eurozona devono riconoscere oggi in quanto devono scegliere tra la credibilità della loro valuta e la permanenza dell’unità europea.

La prima è che questa crisi non è colpa della popolazione greca. Potrebbe sembrare facile pensare il contrario, se si osserva il loro governo maldestro e inaffidabile nei rapporti con i suoi partner, e un demagogico (ora ex) ministro delle finanze che considera “terrorismo” il semplice atto di prestare denaro e aspettare che un giorno venga ripagato.

Hanno rifiutato condizioni ragionevoli dai loro creditori, difendendo le prestazioni pensionistiche pagate prima della maggior parte dei paesi del Nord Europa, e proteggendo aliquote IVA ridotte per aree turistiche che le colline gallesi della Gran Bretagna e la zona del Yorkshire Dales, per citarne due vicine al mio cuore, possono solo sognare. Ma i greci hanno sperimentato la perdita di un quarto del loro intero reddito nazionale, a seguito di un’insostenibile inflazione della spesa e del debito che l’adezione all’eurozona ha facilitato. La responsabilità di questa crisi deve essere data ai loro ex leader e a chi in UE ha permesso il loro ingresso nell’area della moneta unica alla quale non erano assolutamente pronti, un trionfo della volontà politica sull’analisi economica per la quale ora gente comune sta pagando l’alto prezzo.

Non va bene ora aspettare che i greci si siedano tranquilli in una stanza bruciata dell’edificio in fiamme che ho descritto 17 anni fa.

Questo ci porta alla seconda verità: questa non è una crisi a breve termine, ma una permanente, in cui ogni “alloggio” temporaneo verrà presto superato dagli eventi.

Ai Greci viene chiesto di fare business e competere con il resto del mondo allo stesso tasso di cambio e con gli stessi tassi di interesse della Germania, il che richiederebbe che la loro produzione, educazione e cultura d’impresa fosse almeno simile a quella dei tedeschi.

Non saranno mai in grado di farlo in tutta la loro vita. Non perché hanno qualcosa di sbagliato, ma perché vivono in un contesto economico diverso da quello della Germania, e non adatto quindi a condividere la stessa moneta.

In tale circostanza, sarebbe meglio uscire prima, con qualche generoso sostegno, che dopo con maggiore risentimento e senso di fallimento.

La terza e ultima verità sarà la più difficile da accettare per i responsabili dell’euro: ossia che non si tratta solo di un paese. Il primo paese è stato la Grecia, in quanto si tratta di un paese particolarmente indebitato e poco competitivo. Ma le stesse tensioni emergeranno in altre nazioni soggette ad una crisi meno immediata ma con una simile prognosi.

In tutta l’Europa meridionale, governi come quelli di Italia e Spagna stanno facendo sforzi coraggiosi per attivare riforme necessarie da tempo. Potrebbero non raggiungere molto, tuttavia, per permettere alla loro popolazione di prosperare quando necessario per competere alla pari con i loro vicini del Nord.

Vi è un evidente rischio che i risultati economici del sud divergeranno invece di convergere, con quelli del nord. A meno che ciò non verrà evitato, arriveranno nuovi problemi in Europa di cui la Grecia è stata solo una prova minore.

Conclusioni

Nei decenni futuri, nella stessa scuola di business dove ho parlato nel 1998, credo che gli studenti dovranno sedersi a studiare la follia dell’estendere una moneta unica troppo lontano. Sarà triste vedere che i loro libri di testo probabilmente diranno che la debacle greca del 2015 non è stata la fine della crisi dell’euro, bensì il suo vero inizio.

Fonte: Zero Hedge

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