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La vendetta dell’euro sulle economie emergenti

martedì 8 ottobre 2013, di Michele Ciccone

Le monete dei mercati emergenti stanno crollando, mentre le loro banche centrali sono impegnate ad adottare misure restrittive nel tentativo di stabilizzare i mercati finanziari. Ma chi è il vero colpevole di questa situazione?

Qualche anno fa, quando la Fed decise di dare il via ad un nuovo round di quantitative easing, molti capi di stato dei paesi emergenti prostarono a gran voce. Essi infatti ritenevano che l’acquisto illimitato di titoli pubblici da parte della Banca Centrale Americana era un chiaro tentativo di attuare una svalutazione competitiva del dollaro.

Si presentava allora il rischio di copiosi afflussi di capitali verso i paesi emergenti, con possibili apprezzamenti del cambio di questi paesi, minori esportazioni e deficit delle partite correnti. Qualora poi la politica monetaria statunitense avesse cambiato corso, il pericolo di un sudden stop negli afflussi di capitali si presentava come una eventualità concreta.

Ma è davvero tutta colpa degli Stati Uniti?

Tuttavia questa visione perde di vista quella che è la vera ragione per la quale il capitale è affluito verso i mercati emergenti nel corso di questi ultimi anni, provocando lo squilibrio nei conti con l’estero di questi paesi.
Il vero colpevole è l’euro.
Il quantitative easing statunitense non può essere rintracciato come la vera causa di questi mali; il deficit estero americano non si è modificato significativamente in questi anni. Inoltre negli Stati Uniti si è assistito ad una contemporanea espansione sia delle esportazioni che delle importazioni, rendendo di fatto neutrale l’impattto del QE sulle economie emergenti e sul resto del mondo.

I danni causati dall’austerità europea

L’austerità in Europa, quella si, ha avuto un profondo impatto sulle partite correnti dell’eurozona. L’area monetaria unica è passata da un deficit commerciale di quasi 100 miliardi di dollari nel 2008 ad un surplus di circa 300 miliardi di dollari quest’anno. Come mai? Proprio in conseguenza del sudden stop dei flussi di capitali verso i paesi periferici dell’eurozona, i quali 5 anni fa soffrivano di uno squilibrio estero pari a 300 miliardi dollari, mentre allo stato attuale fanno osservare un modesto surplus. Dal momento che i paesi centrali come Germania e Olanda non attuano misure espansive per la domanda interna, l’eurozona nel suo complesso registra attualmente il surplus di partite correnti più grande del mondo, superando addirittura quello cinese.

La causa dei malanni dei paesi emergenti è quindi da attribuire tutta alle misure di austerity europee. La debole domanda dell’eurozona ha provocato il deterioramento dei conti con l’estero dei paesi emergenti i quali, a questo punto, saranno costretti prima o poi ad adottare anch’essi misure restrittive per correggere gli squilibri esterni.

Quale soluzione per questa impasse?

Se nei paesi emergenti si assisterà ad un surplus commerciale, ci dovrà essere per forza di cose qualche altra nazione disposta ad andare in deficit. Chi si accollerà questo macigno?
Allo stato attuale i possibili candidati sono due: Europa e Cina. La prima per via dell’importanza dell’euro come valuta di riserva, la seconda per via della forza dei suoi conti esteri, i quali potrebbero permettersi una piccola incursione verso il basso.
Nessuna delle due sembra in realtà intenzionata, dati i surplus commerciali che fanno registrare ogni anno (i due più grandi al mondo). A meno che gli Stati Uniti non si riapproprino del loro ruolo di "consumatori di ultima istanza", come accaduto durante la crisi dei mutui subprime.
Le conseguenze, però, le abbiamo viste tutti.

Libera traduzione da Daniel Gros

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