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Sanità: il diritto alla salute è finanziariamente condizionato all’UE
martedì 24 febbraio 2015, di
Il diritto alla salute è stato la massima espressione di quella economia sociale di mercato i cui semi erano stati cosparsi in Europa da Ludwig Erhard. Oggi, nel tempo della egemonia del perdente e fallace paradigma neoliberista, anche la tutela della salute diventa un parametro di compatibilità finanziario del Six Pack.
Lo svuotamento, per linee interne della democrazia, dei suoi equilibri istituzionali e delle sue procedure segna un punto particolarmente eloquente nella sanità.
Un insieme di elementi ha concorso al forte ridimensionamento della sanità pubblica:
la riforma del titolo V, le politiche della Commissione europea, il business prospettico della sanità privata.
Della democrazia resta la facciata e i riti elettorali, mentre il potere reale di decisione si distribuisce tra burocrati, tecnocrati e magnati.
Dal 2010 nell’area euro si sono susseguite decisioni volte a rimediare l’instabilità dei mercati. In un quadro di libera circolazione di capitali e di cambi fissi nella zona euro si è verificata una crisi di bilancia dei pagamenti.
In tale situazione si è spacciata l’idea di riforme da fare per benefici futuri certi.
Patto euro plus marzo 2011, Six Pack, Meccanismo Europeo di Stabilità, Fiscal Compact: strumenti che introducono negli ordinamenti degli Stati regole di bilancio addirittura trasferite in Costituzione, com’è avvenuto in Italia.
Il Six Pack (5 direttive e un regolamento) integra e modifica il Patto di Stabilità e Crescita del 1997 introducendo un sistema di vigilanza e sorveglianza dei bilanci statali.
La Corte Costituzionale tedesca con tre sentenze nel febbraio e settembre 2012 e a marzo 2014 ha preservato il ruolo e l’autonomia del parlamento (Bundenstag) nonostante gli impegni assunti sentenziando che le decisioni in materie UE avvengono con il “necessario coinvolgimento del parlamento nazionale “.
In Italia invece il potere di bilancio, che dovrebbe rientrare in una reale democrazia nella sfera della sovranità nazionale, è trasferito alla Commissione UE e a norme di un accordo internazionale fuori dalle procedure fissate dall’art. 48 TUE per la modifica dei Trattati.
Appare davvero ridicolo dopo 16 anni di tassi medi di sviluppo del PIL italiano allo 0,25% , con deflazione europea in atto, quantitative easing delle banche centrali, tassi ultrabassi e infine guerre tra le valute (la Svezia taglia il tasso benchmark a meno 0,10%, la Danimarca a meno 0,75%, il yuan cinese legato al dollaro secondo un accordo, l’abbandono della Svizzera della difesa della parità di cambio euro/franco e infine forex trading tra rublo e yuan) parlare di mercato autoregolato e manie intorno a parametri contabili .
Le modifiche normative e i tagli alla sanità rappresentano la privilegiata chiave per interpretare le politiche Ue e le promesse da marinaio dei politici locali.
Obiettivi di miglioramento della salute, risposte ai bisogni e alle aspettative, in tema di salute e di assistenza sanitaria.
Slogan, chiacchiere smentite nella sostanza dalla priorità di rispettare il pareggio di bilancio e i vincoli fissati da Bruxelles.
È dagli anni ’90 che in riferimento alla salute si parla di “diritto finanziariamente condizionato”, in un crescendo legislativo: 311/04, 266/05, 296/06, 222/07, 191/09,1 49/2011.
Queste leggi hanno sancito che che:
1) la regione con disavanzo sanitario, che non ha provveduto a coprirlo viene diffidata dal Presidente del Consiglio dei Ministri a colmare il disavanzo. In caso contrario il presidente della regione è nominato commissario ad acta e, utilizzando anche aumenti addizionali irpef e irap, è obbligato a coprire il disavanzo; se non lo fa comunque gli aumenti decorrono;
2) dopo aumenti delle entrate si provvede al blocco automatico del turn over, del personale del servizio sanitario regionale, per due anni e il divieto di effettuare spese non obbligatorie. Eventuali leggi regionali o atti contrari sono nulli. Se il disavanzo sanitario strutturale supera il 5% la regione deve presentare un piano di rientro triennale, elaborato insieme alla Agenzia italiana del farmaco e l’agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali;
3) la Regione stipula un apposito accordo con ministro della salute e con quello della economia;
4) la “Relazione Generale sulla Situazione Economica del Paese 2012 - Il Servizio Sanitario Nazionale” del Ministero della Salute pubblicato a marzo del 2014 ci dice che:
a) l’Italia è sotto la media OCSE per numero di infermieri , 6,4 per mille abitanti contro media Ocse a 8,8 mancano quindi 60 mila infermieri;
b) numeri posti letto ospedali media Ocse a 4,8 per mille abitanti mentre in Italia è a 3,4 mille e 12 anni fa era a 4,7;
c) dal 2012 è stato modificato il sistema di ripartizione del finanziamento statale tra le regioni. Prima avveniva rispetto al numero degli abitanti residenti con il d.lgs. 68/2011, ora invece sulla base dei costi medi pro-capite individuati in riferimento a tre regioni selezionate.
Il 17° Rapporto PIT salute del Tribunale del malato del settembre scorso mette in evidenza il drammatico dato che la crisi economica e i costi dei servizi sanitari portano moltissimi cittadini a rinunciare alle cure ”a causa delle difficoltà di accesso alle prestazioni sanitarie", determinata da liste d’attesa troppo lunghe, per esempio sei mesi per una visita oncologica.
Sono le sentenze della Consulta a confermare che il riassetto della rete ospedaliera, le nuove iniziative finalizzate ad aprire nuove strutture sanitarie e l’ istituzione di un registro tumori (7 iniziative in Campania più un registro per tumori infantili) annullati perché interferivano con il “ piano di rientro dal disavanzo sanitario” ( sentenza 79/2013 Corte Costituzionale ) e con motivazione chiarissima:
il legislatore statale impone alle Regioni vincoli alla spesa corrente per assicurare l’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva , in connessione con il perseguimento di obiettivi nazionali condizionati anche da obblighi comunitari
( Corte Costituzionale sentenza 163 del 2011).
Sicuramente sprechi e mala gestione hanno determinato disavanzi osceni come, per esempio, risulta nella sentenza della Consulta sulla legge della Campania 1/2012 , che aveva destinato 55,5 milioni all’anno a decorrere dal 2008 per trenta anni per pagare il debito accumulato fino al 2005. La Corte Costituzionale era intervenuta con la sentenza 180/2013 perché la regione aveva stornato dei 55,5 milioni circa 15,7 per il pagamento di mutui di enti locali contratti per opere pubbliche.
Un sistema politico irresponsabile, un intero continente, la sua vita, il futuro dei suoi figli ipotecato dai “pazzi al potere” che “imponendo” teorie astratte (aspettative razionali, mercati efficienti , autoregolazione naturale dei mercati) come diceva Keynes, hanno condizionato politici regolatori, banchieri supportati da modelli tutt’altro che razionali che definivano “impossibili” quattro accadimenti economicamente catastrofici: mercati azionari del 1987, obbligazionari del 1994, valutari del 1998 e mutui sub prime del 2008.
Crisi quest’ultima che ha devastato economie e società del sud Europa e, al netto delle bolle mediatiche elettorali, di luce non se ne vede tranne che nelle esultanze su decimali di crescita, mentre continuano le promesse dei ras locali sulla modifica delle scelte regionali sulla sanità.