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Italia come Cipro: The Butterfly Effect. Noi la crisi (non) la paghiamo?

martedì 19 marzo 2013, di Federica Agostini

Cipro, una piccola isola del mediterraneo che vale lo 0.2% dell’economia dell’Eurozona, fa tremare i mercati e fa scattare gli allarmi internazionali. Perché? Nonostante ci siano ancora molti dettagli da revisionare, è stato stabilito che alla ricapitalizzazione del settore bancario cipriota contribuiranno anche i correntisti delle banche, mediante il procedimento del prelievo forzoso (o switch, in gergo tecnico). E se accadesse lo stesso anche in Italia?

The Butterfly Effect

"Si dice che il minimo battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo" (Teoria del caos)

Il mondo della finanza internazionale è fatto di connessioni e barriere talvolta invisibili. Le dinamiche dei mercati finanziari condizionano le scelte economiche dei paesi vicini e lontani; così si dice che il caso di Cipro possa rappresentare un "pericoloso precedente", nel senso che se un giorno anche l’Italia dovesse trovarsi in difficoltà, l’Europa potrebbe decidere di riservarci lo stesso trattamento.

La crisi di Cipro

Iniziamo col dire che la situazione nei due paesi, Italia e Cipro, è completamente differente. L’origine dei dolori dell’Isola risiede nella crisi della Grecia, fino a poco tempo fa partner prescelto dagli investitori ciprioti che dal salvataggio della Grecia hanno perduto circa i 3/4 dei loro investimenti.

Disastro bancario, debito alle stelle, recessione e disoccupazione al 25% costringono l’isola di Cipro a richiedere l’intervento dell’Unione Europea che non può permettersi di ricapitalizzare per intero le banche e neanche di svendere i titoli bancari e che propone una "soluzione soluzione alla romana", il conto si divide. Accanto ai 10 miliardi forniti dalle autorità internazionali (FMI e UE), un conto simile dovrà essere prelevato dai conti correnti presenti nelle banche cirpiote.

L’anomalia cipriota

Se non fosse che fino al 2009 Cipro era inserita nella lista nera dei "paradisi fiscali" dell’Ocse e che il 37% dei conti correnti ciprioti appartenga a stranieri (30% dai paesi extra-UE, specie dalla Russia che condanna duramente la decisione UE) a nessuno verrebbe in mente che questo piano di salvataggio abbia come secondo fine quello di arginare un giro di affari anomalo, spesso additato per la facilità con la quale avviene il riciclaggio di denaro sull’isola che, tra l’altro, applica aliquote fiscali distanti da quelle degli altri membri UE.

Insomma, qualcuno potrebbe dire che con il bailout di Cipro, Bruxelles voglia unire l’utile al dilettevole.

Il problema, almeno ad oggi quando le trattative sono ancora da definirsi, è che non è stata fatta alcuna distinzione tra conti "ricchi" e conti "poveri" perché nelle banche cipriote, oltre ad essere depositati i conti di chissà quali proventi, ci sono anche i conti correnti dei risparmiatori, dei lavoratori e dei comuni cittadini che potrebbero venir privati con la forza di una parte dei sacrifici di una vita, magari.

Italia come Cipro?

La decisione è stata fortemente criticata da analisti ed economisti che ritengono che una mossa del genere metta in serio pericolo la credibilità del settore bancario europeo, aumentando i rischi di contagio tra i paesi periferici, come l’Italia.

Da domenica si parla di precedente pericoloso, uno spettro minaccioso che potrebbe innescare il cosiddetto "bank run", la corsa sfrenata agli sportelli in cui ognuno ritira quel che può, per salvarlo da eventuali "confische".

Consob e Abi sono le due organizzazioni nazionali che si occupano della regolamentazione e della supervisione delle attività del settore bancario e finanziario, ma secondo queste fonti l’Italia non ha nulla da temere: non sarà mai come Cipro.

Anzitutto per via della differente situazione e natura delle difficoltà economiche, poi perché tra Italia e Cipro "non c’è nessuna similitudine" ha detto Giuseppe Vegas, presidente della Consob: "Le nostre finanze pubbliche sono solide, non c’è nessuna preoccupazione di contagio e la tenuta dell’Euro è assolutamente fuori discussione."

Secondo l’Associazione Bancaria Italiana, gli istituti di credito del nostro paese "hanno una posizione di grande solidità" e il rischio di contagio è pressoché inesistente. In una nota dell’Abi si legge: "Dai dati della Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI), risulta che le banche italiane siano esposte in misura minima a Cipro, per un totale inferiore al miliardo di Euro. Di qui la massima serenità nell’escludere il rischio di contagio".

Noi la crisi (non) la paghiamo. Davvero?

Alla fine delle valutazioni e delle analisi finanziarie ci sono sempre i tail risk, i rischi di coda; quelli poco probabili secondo le statistiche. Ma quando i tail risk si concretizzano, danno origine a terribili scossoni al sistema finanziario internazionale, come accadde nel 2008 con il crack Lehman Brothers.

Le possibilità che un eventuale bailout in Italia comporti anche nel nostro caso il prelievo forzoso dai conti correnti sembrano essere poche, dunque, ma oltre a questo elemento l’effetto farfalla fa temere per un’altra ragione: il rinnovarsi della fiamma della crisi dell’Euro.

Fino a venerdì scorso, l’Italia e l’impasse politico erano al centro della scena mondiale; oggi parliamo di Cipro, ma sappiamo benissimo che in questi pochi giorni la situazione politica nel nostro paese non si è affatto sciolta, anzi è proprio il mix di questi due elementi che porta personalità del calibro di Paul Krugman ad ipotizzare che lo stesso bank run possa verificarsi, a breve, anche in Italia.

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