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Guerra delle valute: AUD e NZD entrano nel club. Ma cosa accadrà se la BCE lancerà il QE per svalutare ancora l’euro?

martedì 30 settembre 2014, di Nicola D’Antuono

La crisi finanziaria globale del 2008 ha costretto le grandi banche centrali del pianeta a intervenire con decisione per rilanciare le proprie economie. La politica monetaria è diventata uno strumento imprescindibile per risollevare economia e finanza martoriate da svalutazioni, salvataggi e fallimenti a catena: iniezioni di liquidità da migliaia di dollari ogni anno hanno favorito il boom delle borse e dei bond, ma solo in alcuni casi rilanciato anche l’economia. La crisi del debito pubblico europeo ha complicato la ripresa e quel punto tutte le banche centrali più importanti sono dovute scendere in campo per trovare un modo semplice e rapido in grado di stimolare l’attività economica.

I board degli istituti monetari centrali di Stati Uniti, Regno Unito, Giappone ed Eurolandia hanno optato per politiche monetarie ultra-espansive di lungo periodo e ben presto, in diversi casi, l’obiettivo principale è diventata la svalutazione competitiva della moneta nazionale. E’ successo inizialmente a USA e Gran Bretagna, poi Tokyo ha lanciato un mastodontico piano di qualitative & quantitative easing che ha fatto svalutare lo yen del 40% sul dollaro negli ultimi due anni. Da maggio è scesa in campo anche la BCE, che ha rotto gli indugi annunciando una serie di misure monetarie volte a scongiurare il rischio di deflazione: tassi allo 0,05%, tasso sui depositi overnight a -0,2%, aste T-Ltro, acquisti di Abs e covered bond.

In poco più di quattro mesi l’euro si è svalutato quasi del 10% rispetto al biglietto verde, passando da area 1,40 a 1,2660. Ora che la BCE pensa addirittura a un piano di quantitative easing, i pronostici sui prossimi target ribassisti sull’euro si sprecano: la maggior parte di broker e banche d’affari vede il cambio euro/dollaro a 1,20, ma alcuni analisti sono convinti che possa andare ancora più in basso fino a 1,15 – 1,10 (Goldman Sachs si aspetta addirittura la parità entro tre anni). Negli ultimi tempi anche due valute pregiate ad alto rendimento hanno imboccato la strada del ribasso, sotto l’egida delle rispettive banche centrali. Stiamo parlando delle valute oceaniche: AUD e NZD.

Le banche centrali di Australia e Nuova Zelanda hanno dichiarato a più riprese che il valore attuale del cambio delle proprie divise è eccessivamente elevato rispetto al fair value. E’ così partita una significativa svalutazione, che ha colpito duramente soprattutto il dollaro neozelandese. Il Kiwi è passato da 0,88 a 0,77 in poco più di due mesi, registrando una performance negativa del 14%. La Rbnz si è spinta a vendere valuta domestica a mercati aperti, pur di favorirne il deprezzamento. Il primo ministro di Wellington ritiene che il Kiwi valga 0,67: rispetto ai valori correnti ci sarebbe quindi spazio per un ulteriore deprezzamento del 16%.

Molto male anche l’Aussie, che a inizio luglio valeva 0,95 mentre ieri è approdato in area 0,86080 (flessione superiore al 9%). Entrambe le valute sono entrate a far parte di diritto in quella che da tempo viene definita “guerra delle valute”. Tutti vogliono una moneta con valore basso per mantenere viva l’attività economica. Chi riuscirà a vincere? Nel breve periodo possono esserci sicuramente dei benefici per l’export e sull’inflazione (quando è troppo bassa), ma nel medio-lungo termine chi persegue simili strategie monetarie viene spesso punito a suon di deflussi di capitali.

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