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Fine dell’euro e ritorno alla lira? Imprese e famiglie tremano (speciale SkyTg24)
venerdì 23 maggio 2014, di
Un paio di giorni fa è andato in onda su SkyTg24 un interessante speciale dedicato all’euro e alle possibili conseguenze di un ritorno alla lira. L’aspetto più stimolante dell’approfondimento (intitolato “La fine dell’euro?”, nell’immagine in basso la copertina dello speciale), condotto da Sarah Varetto, è stato ascoltare il parere di imprenditori e famiglie, ovvero coloro che realmente affrontano i problemi economici di tutti i giorni. Nessuna teoria economica presentata da illustri accademici, né idee confuse impacchettate in qualche modo dai politici nostrani. Con l’inizio delle elezioni europee, che potrebbero sancire una notevole affermazione dei partiti euro-scettici, torna così di moda il problema dell’euro. Oggi praticamente tutti gli economisti concordano sul fatto che la moneta unica ha creato pericolosi squilibri tra il Nord e il Sud dell’Europa: i paesi periferici, come l’Italia, sono diventati fragili ed esposti a continui attacchi (e ricatti) degli speculatori internazionali. E’ stata creata un’unione monetaria, ma finora è venuta meno la promessa di realizzare un’unione politica, economica e fiscale.
Secondo Wim Duisenberg, il primo governatore della BCE, scomparso qualche anno fa, gli europei avrebbero presto dimenticato le vecchie valute nazionali. Ma non è andata così. Tuttavia, l’euro è davvero la causa di tutti i mali dei paesi del Sud Europa? Cosa accadrebbe a imprese, mutui e risparmi se si tornasse clamorosamente alla lira? Il reportage di SkyTg24 inizia con un’intervista ad Antonio Vendemia, collezionista di banconote italiane. Spulciando nella sua straordinaria raccolta di banconote, emergono storie legate all’andamento dell’economia italiana nel corso dei decenni. La lira racconta un passato fatto di inflazione alle stelle e svalutazioni costanti. Vendemia mostra poi un blocchetto contenente foglietti triturati per un controvalore di 350 milioni di lire. E’ ciò che potrebbe accadere anche all’euro, se dovesse avvenire un clamoroso break-up dell’eurozona.
Ritorno alla lira: conseguenze per le aziende
Un’eventuale uscita dall’euro porterebbe benefici alle aziende che esportano i loro prodotti all’estero. Infatti, si stima che il ritorno alla lira provocherebbe subito una svalutazione della nuova valuta nazionale del 20-30% rispetto all’euro, favorendo così la competitività delle aziende esportatrici italiane nel commercio internazionale. Tuttavia, allo stesso tempo bisogna sottolineare che il valore di ciò che importiamo dall’estero aumenterebbe in modo vistoso. L’Italia acquista ogni anno materie prime e semilavorati per 230 miliardi di euro. Il ritorno alla lira svalutata causerebbe costi aggiuntivi per le imprese, pari a tre volte il valore dell’IRAP di oggi. D’altronde l’Italia è sì un paese dedito all’export, ma allo stesso tempo acquista tantissimi materiali grezzi dall’estero essendo povere di materie prime. Secondo l’Istat nel 2013 l’Italia ha esportato prodotti per 390 miliardi di euro e importato materie prime per 360 miliardi di euro. I valori quasi coincidono.
SkyTg24 ha chiesto agli imprenditori italiani se riuscirebbero a sopportare i maggiori costi di importazione in caso di ritorno alla lira. Giorgio Possio, presidente della SPESSO, industria metalmeccanica alle porte di Torino che produce guarnizioni per motori e trasmissioni, teme di fallire nel giro di 6 mesi. Il 60% circa delle materie prime presenti nel suo magazzino arrivano dall’estero, in particolare Francia, Germania e Stati Uniti. L’azienda di Possio dipende per il 95-97% dalle materie prime che compra al di fuori dei confini nazionali. La quota maggiore del fatturato è in Italia, ma il 45% è all’estero. Se si tornasse alla lira la sua azienda sarebbe costretta a comprare i materiali a prezzi più alti e a rivenderli a prezzi più bassi. La compressione dei margini sarebbe così significativa da spingere l’imprenditore a chiudere i battenti in pochi mesi.
Guido Giordano, presidente della ELMEG, azienda del cuneese che produce serbatoi in plastica principalmente per il gruppo Fiat, sottolinea che il ritorno alla lira non farebbe lievitare soltanto i costi delle materie prime ma anche dell’energia. La sua azienda acquista la plastica necessaria per avere il prodotto finito per il 60% in Germania e per il 40% in Francia. Gli inviati di SkyTg24 hanno poi condotto l’approfondimento in Veneto, una zona votata all’export e una delle aree economiche più importanti dell’intero paese. Qui 1/3 delle aziende veronesi esporta prodotti all’estero, ma 2/3 sono pur sempre importatori netti. Rita Carisano, direttore di Confindustria di Verona, sottolinea che quella veronese è un’economia di trasformazione: prima di esportare bisogna importare tante materie prime e semi-manufatti. Carisano ritiene che il valore dell’euro sia troppo elevato, ma rappresenta pur sempre un “cappello di protezione competitiva molto importante”. Quindi tornare alla lira no, ma abbassare il cambio dell’euro sì.
L’euro troppo forte, tra 1.36 e 1.40, è senza dubbio insostenibile per l’economia italiana nel lungo periodo. Tuttavia il suo elevato valore sul dollaro consente di avere dei benefici nell’importazione di energia, in quanto i 56 miliardi di euro di petrolio e gas naturali importati ogni anno (stime di Unione Petrolifera riferite al 2013) vengono pagati proprio nella moneta americana. Se il valore dell’euro dovesse diminuire molto, la bolletta energetica chiaramente aumenterebbe.
Ritorno alla lira: conseguenze per le famiglie
L’uscita dall’euro avrebbe un impatto notevole sui bilanci delle famiglie italiane. Innanzitutto la nuova lira avrebbe un valore “reale” più basso, in quanto verosimilmente l’inflazione inizierebbe a galoppare a ritmi molto elevati con conseguente perdita del potere d’acquisto dei consumatori. Per capire questo fenomeno basta dare un’occhiata a una tabella dell’Istat sull’andamento dell’inflazione in Italia negli ultimi 36 anni. Dal 1978 al 1990 il tasso di inflazione è cresciuto del 260%, dal 1990 al 2002 del 52%, dal 2002 al 2014 soltanto del 26%. L’avvento dell’euro ha frenato la corsa dei prezzi e mantenuto bassi i tassi di interesse. L’argomento dei tassi ci porta ad analizzare i potenziali risvolti che si avrebbero sui mutui. Oggi in Italia 3,6 milioni di famiglie hanno un mutuo: il 70% è a tasso variabile, il 30% a tasso fisso. Quando c’era la lira i tassi interbancari (Ribor) galoppavano stabilmente con due cifre, quasi fino al 20% a seguito della svalutazione della lira nel 1992 che provocò un calo vicino al 50% della valuta italiana, le finanziarie “lacrime e sangue” di Giuliano Amato e il boom dei tassi. Nella seconda parte degli anni ’90 è avvenuto un ridimensionamento, grazie all’avvicinarsi del momento dell’introduzione dell’euro.
La nascita dell’euro fece scendere i tassi sotto il 4%. Se è pur vero che nell’autunno del 2008 la crisi di liquidità e di controparte nel settore bancario provocò un’impennata dei tassi, a seguito del crack di Lehman Brothers e del crollo dei mercati finanziari globali, successivamente i tassi sono tornati ad essere sotto controllo e oggi migliaia di mutuatari italiani pagano tassi anche inferiori all’1% sui loro mutui a tasso variabile. Secondo Valentino Trainotti, direttore generale di Banca di Verona - Credito Cooperativo Cadidavid, se si tornasse alla lira i tassi raddoppierebbero con un impatto stimabile intorno ai 200€ in più sulla rata mensile del mutuo. Insomma, non sarebbe di certo una buona notizia per i mutuatari italiani. Ma veniamo ora a un aspetto ancor più importante per le famiglie. Che fine farebbero i risparmi di una vita in caso di uscita dall’euro? Oggi l’Italia deve fare i conti con un debito pubblico a livelli record, pari a 2.120 miliardi di euro. Di questa fetta di debito il 70% è in mano agli italiani stessi (per lo più le banche) e solo il 30% è nei portafogli degli investitori stranieri. Ciò è importante perché, rispetto al recente passato, l’Italia è meno vulnerabile agli attacchi speculativi sul debito.
Concretamente, però, nessuno sa con precisione come si esce dall’euro. Non c’è scritto in nessun trattato e in effetti le idee di economisti, politici e altri esperti appaiono spesso discordanti. Ma come si comporterebbero le banche se avvenisse un break-up dell’euro, ovvero la rottura dell’eurozona con il conseguente ritorno alle rispettive valute nazionali? Per capire gli effetti di un simile evento dobbiamo tornare al periodo della crisi dello spread, quando la Grecia sembrava ormai in procinto di fallire e di diventare il primo paese a uscire dall’euro. Era il triennio 2010-2012: i greci, in vista di un possibile ritorno a una dracma svalutata, ritirarono il 35% dei depositi dalle banche con diversi casi di corse allo sportello. Secondo Paolo Barrai, esperto nell’esportazione di capitali, un pericolo concreto sarebbe proprio quello di assistere a una fuga di capitali, in particolare in Svizzera e in via del tutto legale. Barrai, intervistato da SkyTg24, ritiene che l’ammontare dei deflussi di capitali all’estero dipenderebbe dalle tempistiche dell’uscita dall’euro: quanto più tempo serve per completare il ritorno alla lira, tanto maggiore sarà la fuga di massicci flussi di denaro all’estero (in gran parte nelle vicine banche svizzere).
Valentino Trainotti del Credito Coop. Di Verona si aspetta anche una “temporanea sospensione dei servizi bancari”. Non esistono in Italia casi del passato per fare delle stime, mentre all’estero il caso più emblematico è stato quello dell’Argentina sul finire del 2001. Incalzata dall’iperinflazione e dalla morsa del debito, Buenos Aires lasciò il sistema del cambio fisso di 1:1 con il dollaro e lunedì 3 dicembre 2011 annunciò una svalutazione immediata del peso del 30%. Il denaro degli argentini depositato nei conti correnti fu bloccato quasi per un anno e le banche chiuse. Il 2 dicembre 2002 il blocco fu eliminato, ma il valore dei conti correnti era diminuito di oltre il 70%. Il rischio di assistere al “panico del correntista” è concreto. Nel 2001 gli argentini ritirarono il 20% dei depositi totali dalle banche, a causa dell’aumento del rischio-paese che porta con sé anche i rischi di assistere all’introduzione di finanziarie dolorose e patrimoniali (come quella di Amato nel ’92).
Lo scetticismo generale sull’euro rimane comunque forte tra gli italiani, soprattutto oggi che l’economia va a rotoli e appare incapace di reagire. Tuttavia la moneta unica sembra semplicemente il capro espiatorio di tutti i problemi dell’Italia, dimenticandosi come il paese abbia fallito importanti appuntamenti con la storia in tema di riforme, investimenti e consolidamento fiscale. Non si sa cosa potrebbe realmente accadere in caso di ritorno alla lira, ma di certo non sarà una passeggiata né per le aziende né per le famiglie. Il reportage di SkyTg24 si chiude con una parabola del premio Nobel per l’Economia, l’indiano Amartya Sen: “Quando ero giovane salii sulle montagne russe. Le odiai, ma non pensai certo di buttarmi giù. Quando sei sulle montagne russe ci devi stare fino alla fine”.
Messaggi
23 maggio 2014, 09:58
Uscire dall’euro non sarebbe una passeggiata, ma restarci lo è?
Circa la Frase di Amartya Sen: ok, restare sulle montagne russe fino alla fine, ma che fare se non è prevista la fine del giro? Accetti di rimanere in una situazione odiosa per tutta la vita?