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Economist: chi può evitare una zombificazione dell’Eurozona? Solo la Germania, l’"egemone riluttante"
lunedì 17 giugno 2013, di
Nel giugno del 1963 John Kennedy portò speranza ad una città divisa in prima linea nella guerra fredda con le parole "Ich bin ein Berliner" (Io sono un berlinese). Quando Barack Obama visiterà Berlino la prossima settimana, mezzo secolo più tardi, troverà un posto molto diverso. Unita, forte e ricca, la Germania è il potere egemonico dell’Europa. La Francia è debole e mal ridotta, la Gran Bretagna è distratta da un dibattito circa la sua adesione all’UE. Nulla può accadere nell’UE senza il sostegno attivo del cancelliere della Germania, Angela Merkel.
Angela Merkel è il politico più imponente d’Europa. Molte volte, nel corso degli ultimi difficili cinque anni, ha usato il suo potere per fare del bene. Ma lei è una donna di natura prudente che affronta un’elezione potenzialmente pericolosa a settembre. E la sua riluttanza a guidare l’Europa è ampiamente condivisa dai suoi compatrioti.
Come risultato, l’Europa si sta dirigendo verso il disastro. Anche se i mercati sono più tranquilli rispetto allo scorso anno, il PIL della zona euro è in calo, la disoccupazione è oltre il 12%, i progressi sulla costruzione delle strutture necessarie per una zona di stabilità monetaria sono ormai in stallo e la fiducia nel progetto europeo sta venendo meno. A meno che la stessa Germania non inizierà a muoversi, l’economia del continente e la sua politica sono destinate a peggiorare.
Germania leader d’Europa? No, grazie
Tre barriere bloccano l’assunzione di leadership della Germania e sono tutte comprensibili. La prima e la più difficile da superare è storica. Anche solo la parola "leader", in tedesco "Führer", evoca ricordi terribili. Avendo gettato l’Europa in guerra per ben due volte, molti tedeschi credono che sia loro dovere diventare una versione più grande della Svizzera: economicamente prospera, politicamente modesta.
Ma in questi giorni il pericolo per l’Europa non è quello di un’eccessiva leadership tedesca, ma proprio il contrario. Essendo il più grande creditore della zona euro, la Germania sarà quella che ci perderà di più da un potenziale crollo dell’euro. Le politiche di austerità dell’Europa meridionale sono associate alla signora Merkel. Il supporto per l’UE è, di conseguenza, fatiscente: un recente sondaggio Pew ha rilevato che il 60% degli spagnoli, il 75% degli italiani, il 78% dei greci e addirittura il 77% dei francesi ritiene che l’integrazione europea abbia danneggiato le loro economie. Se l’euro crolla, la Germania sarà considerata la responsabile.
La seconda ragione per la riluttanza della Germania è la convinzione che la causa ultima della crisi della zona euro sia stata la pigrizia degli europei del sud, e che se solo essi fossero stati produttivi come i tedeschi, tutto questo non sarebbe successo. La soluzione a questo è che il resto d’Europa diventi laborioso e fiscalmente prudente come la Germania.
C’è del vero in questo. Negli ultimi dieci anni i costi unitari del lavoro in Germania sono aumentati solo del 5%, rispetto al 21% in Italia. La Germania si è impegnata in dolorose riforme strutturali che gli europei del sud non mai preso sul serio, come l’Italia che non riesce ancora ad attuare molte delle riforme di cui ha bisogno e la Francia che continua a negare: lo scorso fine settimana François Hollande, il suo presidente, ha annunciato allegramente che la crisi dell’euro era finita.
Eppure questa visione moralistica si basa su una lettura selettiva della storia. La Germania si aspetta che l’Europa meridionale intraprenda delle riforme in un momento di austerità, ma quando la Germania ha intrapreso le sue riforme nel 2003 ha rotto le regole di bilancio-deficit dell’euro. E il recente successo della Germania deve molto alla convenienza dell’euro, che ha permesso il boom delle sue esportazioni.
Né l’economia della Germania è così forte come potrebbe apparire. Negli ultimi anni non ha intrapreso praticamente alcuna riforma che potesse favorire la crescita. Inoltre vanta anche la più antica popolazione in Europa. Nel corso dei prossimi dieci anni la sua forza lavoro si ridurrà di circa 6.5 milioni, l’equivalente di tutti i lavoratori in Baviera. La Germania ha estremo bisogno di un’Europa di successo non solo come un nobile progetto o un atto di carità, ma per il proprio futuro economico.
La terza ragione è tattica. Con la crescente ostilità in Europa, troppa assertività teutonica sarà controproducente. Inoltre, il rischio morale è un problema. Se la Germania sembra pronta ad aprire il suo portafoglio, i suoi vicini meridionali saranno meno disposti a cambiare.
Tali rischi certamente esistono, ma l’attuale ostruzionismo della Germania pone dei pericoli più grandi. La pazienza della massa di disoccupati in Europa meridionale non è infinita. Le banche sono ancora traballanti e i vari ritardi minacciano ancora la sopravvivenza della moneta unica.
Attenzione "zombie"
La Germania ha ragione a voler spingere l’Europa del Sud verso le riforme. Ma una maggiore competitività non basterà, di per sé, a far riprendere le economie periferiche. Più i salari e prezzi verranno spremuti, più sarà difficile per i paesi deboli ripagare i loro debiti. Ad esempio, la signora Merkel potrebbe spingere verso una serie di riforme pro-crescita. Si potrebbe creare un più ampio Fondo europeo di Trasformazione, per favorire la privatizzazione e incoraggiare gli investimenti pubblici e privati in Europa meridionale.
Sull’architettura di una nuova Europa, la Germania è stata ancora più debole. Se la zona euro deve funzionare, ha bisogno di una vera e propria unione bancaria. La Germania frena le misure necessarie per introdurne una, ma le banche "zombie" potrebbero condannare i paesi ad anni di stagnazione. Se la Germania dovesse prendere l’iniziativa e costruire una zona euro più coesa, forse potrebbe rompere questo circolo vizioso.
Quando la leadership americana è andata in soccorso di una vulnerabile Germania Occidentale mezzo secolo fa, era nell’interesse non solo dei tedeschi ma anche degli americani stessi. Ora è il turno della Germania di guidare i suoi alleati più deboli, per il loro bene, ma anche per il suo.
| Traduzione italiana a cura di Erika Di Dio. Fonte: Economist |