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Chi salverà l’Italia? L’Economist: tutto quello che bisogna cambiare
venerdì 15 febbraio 2013, di
Il pericolo per la moneta unica europea sembra essere diminuito. I rendimenti obbligazionari dei paesi periferici sono caduti, le preoccupazioni che alcuni membri potrebbero essere "mandati via" si sono dissipate, i disavanzi di bilancio si sono ridotti, i primi segnali di ripresa si stanno mostrando in Irlanda e persino in Spagna. Eppure, la crisi della zona euro è tutt’altro che finita. Piuttosto, la sua fase acuta è diventata cronica. La preoccupazione si è ora spostata verso la mancanza di posti di lavoro e la crescita lenta.
La competitività persa, l’alto tasso di disoccupazione e la stagnazione sono sempre stati i grandi rischi a lungo termine per la moneta unica europea. Questi problemi possono essere più evidenti nei soliti sospetti periferici, Grecia, Spagna e Portogallo, ma non sono limitati lì. La zona euro rimane in recessione. Le economie di Germania e Francia si sono contratte nel quarto trimestre del 2012. La Francia sta lottando per introdurre delle riforme. Ma la peggiore di tutte è l’Italia.
Il caso italiano
I fallimenti italiani non sono così evidenti come quelli degli altri paesi. Nonostante il suo enorme debito pubblico, quasi il 130% del PIL, le sue finanze pubbliche e le sue banche sono in condizioni migliori di quelle della Grecia o del Portogallo. Ha anche evitato i fenomeni "boom e bust" (espansioni/contrazioni) delle proprietà che hanno devastato la Spagna e l’Irlanda. Eppure l’economia in Italia è una delle uniche due nella zona euro in cui il PIL reale pro capite è diminuito da quando l’euro è entrato in essere. Nella classifica mondiale della crescita del PIL pro capite, si colloca al al 169esimo posto su 179 paesi nel periodo a partire dal 2000, battendo solo una manciata di casi disperati come Haiti, Eritrea e Zimbabwe.
Ora l’Italia rischia anche di essere lasciata indietro dai suoi vicini. I costi unitari del lavoro nella maggior parte dei paesi mediterranei della zona euro sono saliti al di sopra di quelli della Germania dopo la creazione dell’euro, ma nella maggior parte dei casi, sono caduti bruscamente dall’inizio della crisi. Nelle aziende italiane, invece, dal 2008 sono aumentati più che in qualsiasi altro paese della zona euro, ad eccezione della Finlandia.
I problemi economici dell’Italia significano che le sue elezioni del 24 febbraio e 25 Febbraio sono di fondamentale importante ben oltre le Alpi. Se la terza più grande economia della zona euro e il suo più grande debitore pubblico non possono riaccendere la crescita e creare nuovi posti di lavoro, gli italiani finiranno per perdere la speranza o i loro vicini del Nord perderanno la pazienza. In entrambi i casi, la zona euro cadrà a pezzi.
Quando il win-win è possibile
Fortunatamente c’è una via d’uscita per l’Italia: profonde e comprensive riforme globali alla sua economia eccessivamente regolamentata. Secondo alcune stime, le misure intraprese dall’uscente governo tecnocratico guidato da Mario Monti, in carica dal quando il sipario è sceso su Silvio Berlusconi nel Novembre 2011, hanno già sollevato il potenziale di crescita in Italia di quasi mezzo punto percentuale. Ma ci vuole molto di più.
L’Italia ha troppi interessi economici tutelati, da notai ai farmacisti, e dai taxi ai fornitori di energia. Ha anche troppi livelli di governo: amministrazioni provinciali, regionali e locali che spesso duplicano piuttosto che sostituire le attività del governo centrale. Un sistema giudiziario che rende le vertenze contrattuali incredibilmente lunghe, costose e imprevedibili: un processo civile in media dura in Italia 1.200 giorni, rispetto ai 331 della Francia. L’occupazione è tassata troppo pesantemente, e la spesa pubblica è più orientata verso i trasferimenti piuttosto che verso gli investimenti.
Eppure tutto questo offre anche un’opportunità. Un recente studio del Fondo monetario internazionale, che ha anche visto altre prove da altri paesi, ha concluso che le riforme del prodotto e del mercato del lavoro in Italia potrebbero aumentare il PIL pro capite del 5,7% in cinque anni e del 10,5% in dieci. Se vengono effettuate simultaneamente e sono completate da sensibili riforme fiscali, il salto potenziale del PIL dopo dieci anni sale a oltre il 20%. Questo dovrebbe fissare un obiettivo chiaro per il prossimo governo.
Il meglio e il resto
Gli italiani possono fare una scelta tra il giusto, lo sbagliato e l’ampiamente accettabile. Il miglior risultato sarebbe che il signor Monti restasse come primo ministro. Purtroppo, il professore è migliore nel governare che nel fare campagna elettorale: le valutazioni dei suoi sondaggi raramente sono state superiori al 15% ed è sempre finito al quarto posto.
Il peggior risultato sarebbe una vittoria per la coalizione di destra di Berlusconi. Per una serie di ragioni personali e politiche, questo giornale continua a considerare il magnate dei media non idoneo per l’ufficio. Non è riuscito a riformare il paese in oltre otto anni di potere e il suo partito, a differenza dei suoi colleghi di centro-destra in altri paesi europei in difficoltà, è ancora in campagna elettorale su un programma che ignora anche le riforme.
Considerando la nuda promozione di Berlusconi per i propri interessi a spese di quelli della sua patria, è incredibile che ci siano ancora italiani che lo sostengono. Eppure, nei sondaggi, si è ridotto il divario con il centro-sinistra in Pier Luigi Bersani, dandogli la possibilità di vincere una maggioranza nella Camera dei deputati. Ma Berlusconi potrebbe paralizzare il sistema politico, probabilmente forzando un’altra elezione, allarmando i mercati e rilanciando la crisi dell’euro: un pasticcio miserabile anche per i suoi stessi standard.
Rimane Bersani, la cui coalizione di centro sinistra ha primeggiato nei sondaggi dopo che sono state indette le elezioni. I suoi sostenitori includono ex comunisti, e ha un partner di coalizione dall’estrema sinistra. Eppure l’onorevole Bersani ha anche un record ragionevole come riformatore nei governi passati. Se vincesse le elezioni, ma non riuscisse ad ottenere la maggioranza al Senato, dovrebbe formare un’alleanza con Monti, il quale potrebbe usare il suo potere contrattuale per chiedere un ruolo di super-ministro dell’economia.
Un governo guidato da Bersani, con il signor Monti responsabile della economia, sarebbe un risultato decente per l’Italia. Avrebbe la fiducia dei mercati e delle istituzioni internazionali la cui approvazione è necessaria per tenere a galla i paesi. Ancora più importante, potrebbe fare sul serio nel processo di riforma di un’economia che, se va avanti come ha fatto sotto la presidenza di Berlusconi, finirà per crollare e trascinare giù con essa anche l’euro.
| Traduzione italiana a cura di Erika Di Dio. Fonte: Economist |