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Brexit: quello con l’UE sarà un “negoziato complesso” - Forexinfo intervista Marco Borraccetti (Unibo)
martedì 25 aprile 2017, di
Tra le incognite che sferzano la contemporaneità europea ve n’è una in particolare: la Brexit. La scelta degli inglesi di recedere dall’Unione europea - arrivata in seguito al referendum del 23 giugno e formalizzata dal governo britannico lo scorso 29 marzo - assume per la Costruzione europea un valore storico: da un lato sancisce la prima defezione di un membro (senza contare quella della Groenlandia nel 1985), dall’altro rappresenta per l’Unione europea la prima vera occasione di svolta, anche se non è dato sapere se la piega che il processo prenderà sarà federale o intergovernativa.
Intanto, senza scadere nelle speculazione politica, affrontiamo la realtà indagando il significato e le implicazioni del negoziato di recesso della Gran Bretagna dall’UE, anche alle luce delle velleità indipendentiste che attraversano la Scozia, vera delusa dall’esito del 23 giugno.
Al fine di avere ben chiari i termini del processo abbiamo chiesto ausilio a Marco Borraccetti, ricercatore confermato e Professore di Diritto e sistema giudiziario dell’Unione europea presso l’Università di Bologna, il quale ha gentilmente rilasciato una breve intervista a Forexinfo.it.
Professor Borraccetti, la Gran Bretagna ha invocato l’art. 50 TUE lo scorso 29 marzo. Ci può spiegare nel dettaglio cosa significa invocare l’art. 50? In altre parole, cosa significa in termini giuridici recedere dall’UE?
L’art. 50 del Trattato sull’Unione europea precisa la procedura da seguire nel caso uno Stato decida di uscire dall’Unione europea. Il 29 marzo scorso il governo britannico ha notificato il Consiglio europeo della sua intenzione di lasciare l’Unione e si è dato avvio alla procedura di separazione. L’uscita avrà luogo secondo quanto stabilito nei negoziati e - comunque - decorso un termine di due anni dalla notifica, quindi al 28 marzo 2019. Questo, salvo che le due parti si accordino diversamente.
Quando la Gran Bretagna uscirà, non sarà più soggetta agli obblighi previsti dai Trattati, ma sino a quel momento deve rispettare il diritto dell’Unione europea.
Le implicazioni saranno notevoli, perché il diritto dell’Unione disciplina molti aspetti della nostra vita quotidiana e la Gran Bretagna ne è parte dal 1973: si pensi, ad esempio, al mercato interno o alla libera circolazione delle persone.
Di qui, la necessità di avviare dei negoziati che saranno giocoforza complessi.
Quale sarà l’impatto della Brexit sulla possibilità di un cittadino UE di trasferirsi, lavorare, in una parola “esistere” in Gran Bretagna, ora che l’inizio della fase di recesso è alle porte?
L’impatto di Brexit sulla libera circolazione dei cittadini europei sarà potenzialmente notevole, anche perché costituisce una delle ragioni che hanno portato al risultato che conosciamo. Non per nulla, gli stessi negoziatori europei ne fanno una questione prioritaria. Per quanto riguarda l’impatto sulla vita delle persone tutto dipenderà dai negoziati: se dovessimo dare ascolto alle dichiarazioni che si susseguono, i cittadini europei in Gran Bretagna non avranno trattamenti preferenziali e perciò saranno soggetti al rilascio dei visti, soprattutto se intenzionati a risiedervi per ragioni di studio o lavoro.
Al momento si sa poco o nulla dei termini del negoziato tra UE e Gran Bretagna. Nel discorso alla Lancaster House di Londra Theresa May ha dichiarato che l’intento del governo britannico è quello di uscire dall’UE rimanendo, la speranza è questa, nel mercato unico attraverso un accordo di libero scambio. Ritiene che questo sia uno scenario plausibile?
Lo stadio dei negoziati è iniziale, ancora poco si conosce e le previsioni sono premature. Certo, la Gran Bretagna potrebbe essere associata allo spazio economico europeo (SEE); tuttavia questo trae origine dall’accordo tra l’Unione europea e gli Stati EFTA (Associazione Europea Libero Scambio), non risultando aperto a Stati individualmente considerati e perciò richiederebbe un’associazione britannica all’EFTA o una modifica degli accordi. Quindi, ancora una volta sembra inevitabile che - a tal fine - l’UE richieda in cambio un trattamento favorevole per i propri cittadini.
Nicola Sturgeon, Primo ministro scozzese, ha di recente espresso l’intenzione di indire un secondo referendum sulla permanenza della Scozia nell’UE (in Scozia la maggioranza degli aventi diritto si è espressa per rimanere nell’UE). Su quali basi legali poggia questa proposta? In altre parole, può la Scozia ambire a rimanere nell’UE senza che prima si palesi come Stato indipendente dalla Gran Bretagna?
L’intenzione manifestata dalla Primo Ministro scozzese si basa sul quadro costituzionale britannico. La Scozia può ambire ad essere membro dell’UE ma potrà farlo solo una volta che sarà divenuto uno Stato indipendente. La cosa tuttavia non sarebbe automatica e di semplice realizzazione, perché richiederebbe l’approvazione di tutti gli Stati già membri dell’Unione: non è detto che la Spagna sia favorevole poiché potrebbe vedere, in tal riconoscimento, un rischio per la propria integrità territoriale. Pur se la Costituzione spagnola non ammette i referendum separatisti, è noto quali siano i sentimenti di una rilevante parte della società catalana.
Mi si lasci osservare che un aspetto sottovalutato riguarda anche l’Irlanda del Nord, altra terra dove aveva prevalso l’intenzione di rimanere nell’UE: da un lato l’Unione era ed è garante della pacificazione tra cattolici e protestanti, o almeno del mantenimento della pace. Dall’altro, l’uscita del Regno Unito dall’Unione porterà ad avere una frontiera tra Irlanda del Nord e Irlanda, cosa per tutti gli irlandesi inaccettabile. In tal caso, un accordo specifico tra UE e GB sarà fondamentale per prevenire tensioni e governare eventuali pulsioni separatiste.
L’ex Primo ministro scozzese Alex Salmond - già promotore dell’indipendenza scozzese - ha di recente formulato un’interessante proposta: per ovviare alla Brexit la Scozia dovrebbe in tutta autonomia fare domanda di adesione all’EFTA. Una soluzione che consentirebbe alla Scozia di preservare diritti e doveri derivanti dall’appartenenza al mercato unico UE (in virtù del Free Trade Agreement sottoscritto dall’UE e dai Paesi dell’EFTA). Ritiene la proposta di Salmond realistica e giuridicamente solida?
Da un punto di vista giuridico non vi sono possibilità che la richiesta sia accolta poiché anche l’EFTA, come l’UE, prevede che ne siano parte degli Stati sovrani.
Politicamente può anche essere interessante, ma il limite giuridico risulta invalicabile, salvo non intervengano in tempi futuri delle modifiche ai Trattati istitutivi.