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Andrea Boitani su crisi Eurozona: l’euro non è una stanza d’albergo, da cui si entra e si esce a piacimento

venerdì 31 maggio 2013, di Erika Di Dio

Forexinfo intervista Andrea Boitani, Professore di Economia presso l’Università Cattolica di Milano, sulle più recenti dinamiche del mondo economico europeo e mondiale.

Ecco cosa ci ha risposto il prof. Boitani.

1) Considerando la crisi che stiamo vivendo, a suo parere, perché l’Eurozona non ha funzionato e continua a non funzionare? Pensa che ci siano stati degli errori fondamentali nel suo progetto di concepimento?

R. L’errore fondamentale consiste nel non aver costruito, insieme all’unione monetaria, l’unione fiscale e politica. Senza unione fiscale e con politiche di bilancio nazionali strettamente limitate dalle “regole” previste nei Trattati e nei vari Regolamenti europei, i paesi dell’Eurozona non sono in grado di rispondere adeguatamente a shock asimmetrici come quelli che li hanno colpiti. Ricordiamoci che l’Eurozona e, più in generale, l’Europa è un continente dove la mobilità del lavoro è molto più bassa che negli Stati Uniti, per ragioni culturali, linguistiche, istituzionali. Al contrario, la mobilità dei capitali è quasi altrettanto “perfetta”. Questo fa sì che se uno shock colpisce un paese (o un gruppo di paesi) più di altri e gli investitori percepiscono che nei paesi più colpiti il rischio sta crescendo, i capitali molto velocemente escono e quei paesi si trovano di fronte a crisi di liquidità che si intrecciano con le crisi bancarie e con quelle dei debiti sovrani in spirali perverse (come nel caso della Spagna). I singoli paesi europei sono lasciati da soli ad affrontare queste crisi, senza disporre di una banca centrale nazionale che possa agire da prestatore di ultima istanza e senza che i loro lavoratori possano facilmente spostarsi negli stati che stanno meglio e c’è maggior probabilità di trovare lavoro. I debiti sovrani di molti paesi sono cresciuti per il salvataggio delle banche, più che per un precedente atteggiamento lassista di politica fiscale (vedi Irlanda e Spagna). Poi, certo, quando la crisi da finanziaria è divenuta economica, i bilanci dei singoli stati sono stati impegnati dagli stabilizzatori automatici e da qualche necessario programma di sostegno alla domanda interna (ma dal 2010 questi programmi, in realtà, si sono esauriti). L’assenza di una unione bancaria è certamente responsabile per aver lasciato il salvataggio delle banche sulle spalle dei singoli stati e l’assenza dell’unione fiscale è responsabile per l’impossibilità di una politica di sostegno asimmetrico agli stati più colpiti dalla crisi. Ma unione bancaria e unione fiscale richiedono una vera federazione politica, insomma un passo, un grande passo avanti nel processo di unificazione europea.

2) Da mesi ormai sentiamo parlare di una ripresa che di volta in volta viene rinviata di mese in mese, ma ancora nessuno ha assistito a nessun cambiamento. Quando finirà veramente la crisi dell’euro?

R. È difficile fare previsioni. Ma è improbabile che la crisi finisca a breve se non cambia l’atteggiamento di politica economica dell’Europa, che in buona misura è l’atteggiamento di politica economica della Germania. Possiamo solo sperare che, con le elezioni tedesche, si metta fine all’austerità fiscale... almeno in Germania. Perché nei paesi del “sud” Europa sarà difficile abbandonare politiche di bilancio estremamente prudenti. In assenza di un bilancio federale, sono i paesi meno indebitati a dover fare politiche espansive. Solo quando l’Eurozona tornerà a crescere potrà finire la crisi dell’euro.

3) Pensa che per far fronte a questa situazione, si dovrebbe uscire dall’euro, o che dovrebbe farlo solo la Germania? Porterebbe a dei vantaggi?

R. No. Uscire dall’euro non è la soluzione e tanto meno lo è un’uscita della Germania. La moneta unica non è una stanza d’albergo, da cui si entra e si esce a piacimento. C’è qualche economista tedesco, come Hans Werner Sinn, che la pensa così: non ha capito cosa sia una unione monetaria. Non è come il vecchio Sistema Monetario Europeo, da cui l’Italia e la Gran Bretagna uscirono nel 1992 senza conseguenze catastrofiche. L’uscita di un paese dall’unione monetaria avrebbe costi altissimi sia per il paese che esce sia per tutti quelli che restano e, soprattutto, porterebbe con sé la crisi dell’Unione Europea e non solo dell’Eurozona. Vedremmo risorgere barriere doganali abbattute da quaranta anni, vincoli ai movimenti di capitale e delle persone. Una regressione all’Europa degli anni ’30, mentre dovremmo fare il salto verso una vera federazione politica democratica, con unione bancaria e unione fiscale.

4) Spostandoci oltreoceano, il numero uno della FED, Ben Bernanke, ha lanciato un nuovo allarme, sostenendo che ancora permangono numerosi rischi per il sistema finanziario. Gli Stati Uniti possono considerarsi fuori pericolo o è ancora troppo presto per dirlo?

R. Nessuno è fuori pericolo finché l’Europa non sarà fuori pericolo. Il sistema economico europeo e quello degli Stati Uniti sono troppo interconnessi perché uno sia al sicuro senza che l’altro sia al sicuro. Inoltre, il sistema finanziario - sia in America che in Europa - ha ricominciato a comportarsi come prima della crisi, nei modi che hanno portato alla crisi. Questo è intollerabile e rischiosissimo. Intollerabile perché i finanzieri giocano con la pelle degli altri: quando fanno profitti li intascano; quando le loro banche e le altre istituzioni finanziarie stanno per fallire vengono salvate con i soldi dei cittadini che pagano le tasse o sono chiamati a stringere la cinghia per evitare che il debito pubblico creato per quei salvataggi travolga tutto e tutti. Rischiosissimo perché il sistema finanziario ed economico è ancora fragile e non potrebbe sopportare un’altra iniezione letale di rischio e di “azzardo morale”.

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