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La riforma costituzionale: come la Troika privatizzerà l’Italia

lunedì 21 novembre 2016, di Michele Belluco

La riforma costituzionale costituisce un moderno cavallo di Troi(k)a che consentirà all’Unione europea di far applicare, in modo coattivo, l’agenda dettata all’Italia, in particolar modo in tema di privatizzazioni.

Quello che manca nei dibattiti finora seguiti in materia di riforma costituzionale, da parte di entrambi gli schieramenti, sia del “Sì” che del “No”, è la reale finalità che si prefigge.

Molta gente:

  • pensa ancora che l’attuale Costituzione sia quella originaria lasciata dai nostri “padri costituenti”;
  • ignora che sia stata pesantemente modificata da tutta una serie di successive leggi costituzionali;
  • non sa, ad esempio, che la legge costituzionale del 18 ottobre 2001, n. 3 - Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, ha previsto che l’attuale articolo 117 diventasse questo: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”;
  • non ha letto l’attuale articolo 119 della Costituzione il quale, già adesso, stabilisce che “I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea”;
  • non è a conoscenza del recepimento, nel nostro ordinamento giuridico, del Trattato di Lisbona, redatto per sostituire la “Costituzione europea” bocciata dal "No" dei referendum francese ed olandese del 2005.

Ed è proprio sul trattato di Lisbona che voglio aprire una parentesi analizzandolo attentamente nella forma leggibile, ovvero quella “consolidata” (la forma “originaria”, quella votata dai parlamenti nazionali, era incomprensibile) disponibile in questo pdf:

Riforma costituzionale: il trattato di Lisbona

Si capisce subito come i ruoli esercitati dalla Commissione europea facciano venir meno la possibilità, per i parlamenti dei singoli Paesi, di legiferare nell’interesse dei cittadini rappresentati.

Infatti, la Commissione europea:

  • è l’unico organo europeo che ha il potere di iniziativa legislativa mentre il Parlamento europeo, al contrario di quello che si potrebbe immaginare, rappresenta nel concreto un’istituzione di pura facciata, priva pertanto di concreto rilievo;
  • oltre ad avere il potere d’iniziativa legislativa, è l’organo esecutivo dell’Unione europea, ovvero ha il potere di applicare le leggi;
  • insieme alla Corte di giustizia, garantisce che il diritto dell’Unione europea sia correttamente applicato in tutti i Paesi membri;
  • autorizza la legge di bilancio di ciascuno Stato prima di essere messa al voto in Parlamento; nella sostanza si tratta di un documento contabile, di tipo preventivo, tramite cui il Governo comunica le spese e le entrate pubbliche previste per l’anno successivo. In merito alla nostra legge di bilancio 2017, la Commissione europea ci ha fatto già sapere che purtroppo non rispetta gli impegni precedentemente assunti dall’Italia in tema di riduzione del deficit / debito pubblico e che rimanda a data post referendum le sue decisioni finali;
  • negozia accordi internazionali per conto dell’Unione europea;
  • è formata da 28 commissari; il presidente attuale è Jean-Claude Juncker, scelto dal Consiglio europeo (i cui membri sono i capi di Stato o di governo dei 28 Stati membri dell’Ue). A sua volta Juncker ed il Consiglio europeo hanno scelto i 27 componenti; è vero che sia il presidente che i commissari sono soggetti al voto di approvazione del Parlamento europeo, ma di fatto non si tratta altro che di una semplice ratifica di una squadra già scelta a monte; per questa Commissione sono bastati 423 voti favorevoli su un totale di 751 parlamentari (il 56,32 %).

Si comprende come sia stato creato, a livello europeo, un super organo di nominati, che concentra in sé stesso i poteri legislativo, esecutivo e di controllo.

Riforma costituzionale: la Costituzione italiana è già stata cambiata

La nostra Costituzione, al contrario, originariamente prevedeva una netta separazione tra:

  • il potere legislativo ovvero di fare le leggi;
  • il potere esecutivo ovvero di applicare le leggi;
  • il potere giudiziario ovvero di giudicare ed eventualmente punire chi non rispetta le leggi.

Domanda che sorge spontanea: nessuno se n’è accorto?.
Pare di no visto che il Trattato di Lisbona, in Italia, è stato ratificato nel 2008 dalla Camera e dal Senato all’unanimità dei presenti.

Nell’attuale dibattito italiano, vi sono importanti costituzionalisti che si battono affinché si voti No al referendum del 4 dicembre, perché ritengono che la riforma costituzionale, in abbinata alla legge elettorale Italicum, dia al Governo nazionale troppi poteri e tolga al Parlamento il suo ruolo cardine di rappresentante dei cittadini, non tutelando le minoranze.

Bisognerebbe aprire gli occhi a questi giuristi, esperti in materia costituzionale, dicendogli che stanno notando solo la punta dell’iceberg. Sembrano, al contrario, continuare a non vedere gli sproporzionati poteri della Commissione europea, preoccupandosi solo delle possibili derive autoritarie del Governo nazionale e non accorgendosi che, anche se avessimo un Parlamento assolutamente rappresentativo dell’elettorato nazionale, la sua potestà legislativa, con le vigenti regole europee, continuerebbe ad essere seriamente compressa.

A ricordarcelo è il sopra menzionato articolo 117 della Costituzione, il quale, anche nella nuova versione prevista dal Governo Renzi, ribadisce che “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea e dagli obblighi internazionali”.

Le parole “ordinamento comunitario” sono semplicemente diventate “ordinamento dell’Unione europea”; ed il nuovo articolo 55 della riforma costituzionale ci fa capire che il Senato si occuperà dell’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Unione europea.

Riforma costituzionale: poteri Stato-Regioni

Altro aspetto trattato marginalmente nel dibattito sul referendum costituzionale riguarda la revisione dei poteri tra Stato e Regioni.

L’accentramento dei poteri allo Stato e la concomitante soppressione alle Regioni servirà all’Unione europea ad avere un unico interlocutore e soprattutto a far rispettare, in maniera coattiva, gli impegni presi dall’Italia in tema di pareggio di bilancio e di rientro dal debito pubblico.

Nella relazione al Parlamento italiano – nota di aggiornamento al DEF 2016, presentata da Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan al Consiglio dei Ministri il 27 settembre 2016, apparivano le seguenti tavole:

Il “SALDO PRIMARIO” rappresenta la differenza tra le entrate e le uscite pubbliche, senza considerare tra quest’ultime la spesa per gli interessi sul debito.

Com’è facile vedere, le stime del nostro Governo sono per una costante crescita.

Tale obiettivo si raggiunge:

  • aumentando le imposte / tasse;
  • diminuendo la spesa pubblica (e ciò si ottiene erogando meno servizi pubblici);
  • creando entrate straordinarie a seguito di privatizzazioni.

A quest’ultimo proposto, torna utile “rispolverare” la famosa lettera inviata nel 2011 dalla Bce al Governo italiano la quale, tra i vari punti toccati, caldeggiava la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali attraverso privatizzazioni su larga scala; e se ripercorriamo, punto per punto, quella famosa missiva, ci rendiamo conto chi finora ha dettato l’agenda politica italiana.

Votare “Sì” al referendum costituzionale vorrebbe dire perdere anche quel minimo di sovranità rimasta e sarebbe l’inizio di selvagge liberalizzazioni che porterebbero vantaggio solo alle grandi multinazionali.

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