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Usa: non-farm payrolls ottimi, ma il dollaro crolla. Ecco il motivo

lunedì 7 marzo 2016, di Nicola D’Antuono

Venerdì il dato sul mercato del lavoro negli Stati Uniti ha confermato che la prima economia del globo sta attraversando un buon momento. Negli ultimi giorni hanno evidenziato segnali confortanti sia il pil dell’ultimo trimestre del 2015 (migliore del previsto a +1%, anziché a +0,7%) sia l’inflazione (balzata all’1,4% a gennaio su base annua). Il tasso di disoccupazione a febbraio è rimasto invariato al 4,9%, come da attese, mentre i non-farm payrolls, ovvero i nuovi assunti nel settore non agricolo, sono cresciuti di altre 242mila unità. Gli analisti finanziari si aspettavano solo un lieve miglioramento rispetto a gennaio a 196mila unità.

A seguito della pubblicazione di questo fondamentale dato macro americano, la valuta Usa ha però messo a segno pesanti cali proseguendo così il trend ribassista già mostrato negli ultimi giorni, in particolare nei confronti di sterlina, monete oceaniche e valute dei mercati emergenti. La motivazione risiede probabilmente nelle dinamiche relative ai salari, che hanno mostrato un peggioramento. Questa variabile viene considerata di notevole importanza per capire se la risalita dell’inflazione possa essere un fenomeno destinato a consolidarsi nei prossimi mesi. E senza un’inflazione in ascesa verso il 2% la FED non dovrebbe procedere con ulteriori aumenti del costo del denaro.

Già per la riunione del FOMC del 15 e 16 marzo non è atteso alcun ritocco ai tassi americani, con il mercato che sconta un possibile incremento solo intorno a novembre/dicembre. Sul forex il tasso di cambio Euro/Dollaro, che mercoledì scorso era sceso sui minimi a un mese a 1,0825, è risalito con decisione fin sopra 1,1040. Resta sotto 114 il cambio Dollaro/Yen, mentre Sterlina/Dollaro è salito in area 1,4250 dopo essere sceso a 1,3830 a fine mese scorso. La valuta americana ha perso molto nei confronti delle monete esotiche, ma anche contro le maggiori commodity currency, ovvero il dollaro di Australia, Canada e Nuova Zelanda. Alla caduta del biglietto verde fa da contraltare il boom dell’oro, che da inizio anno è arrivato a guadagnare il 20%.

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