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The Economist: cosa c’è sotto la crisi del debito in Europa? Un’altra crisi
venerdì 25 ottobre 2013, di
Quindici mesi fa, nel luglio del 2012, Mario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea, promise di fare "tutto il necessario" per salvare la vita della moneta unica. Benché il programma di acquisto titoli pensato per fare fede alla promessa non sia stato mai effettivamente lanciato, i rendimenti sui titoli di Stato sono andati diminuendo. Il disastro dell’Euro si è trasformato da crisi acuta in malattia cronica.
Inizia così l’analisi sul The Economist di questa settimana, dal titolo: "L’altra crisi del debito in Europa". Il problema è che la crisi della zona Euro ha molte più sfaccettature di quanto si sia ammesso sino ad oggi. Infatti, uno dei freni maggiori per l’economia europea risiede nella schiera di imprese ridotte a zombie e nell’eccessivo indebitamento del settore privato, scrive il giornale inglese. A chi toccherà ripulire tutto questo disastro?
The Economist: l’altra faccia della crisi del debito
Questa settimana, Draghi ha lanciato ciò che potrebbe diventare il secondo punto di svolta nella saga dell’Euro: un controllo dei bilanci (Asset quality review) delle 128 banche più grandi della regione Euro e sulle quali la BCE avrà il ruolo di supervisore a partire dal 2014. In virtù di questa "revisione di qualità" che impegnerà non soltanto i vertici della BCE, ma anche "outsider" esperti, la banca centrale inizierà ad imporre un modello di qualità attraverso un processo che ha lo scopo di identificare le banche correttamente funzionanti, quelle che avranno bisogno di maggiori capitali e quelle che dovrebbero invece essere chiuse.
Ma prima di arrivare a questo, l’ostilità della politica Europea non è stata certo poca, sottolinea il The Economist.
Da sempre si dice che l’Europa stia vivendo una crisi del debito, infatti la crisi c’è stata. Ma le origini del disastro dell’Euro non stanno tanto nello spreco dei governi quanto nell’eccesso di prestito ai privati.
Vero, scrive il giornale, la Grecia si è trovata nei guai a causa del governo che ha speso troppo e incassato poco dalle tasse, ma altrove il disastro è stato causato dalla "abbuffata" del settore privato: debiti ipotecari in Spagna e Irlanda; prestiti alle aziende in Spagna (di nuovo) e in Portogallo. In questi tre paesi, prima della crisi, il debito privato (aziende e famiglie insieme) arrivava a superare il 200% del PIL; un livello decisamente più alto di America (175%) e Regno Unito (205%).
Il problema, segue il The Economist, è che l’Europa ha fatto pochissimi passi in avanti nella riduzione del debito privato. Grazie a svalutazioni ed una crescita più sostenuta, in America sono stati estinti quasi due terzi del debito delle famiglie accumulato negli anni del boom.
Nella zona Euro, questo "deleveraging" sul settore privato ha avuto meno effetti per almeno tre ragioni:
- L’austerity fiscale imposta sulle economie periferiche ha inasprito la recessione che ha rallentato la riduzione dei debiti privati.
- Le banche meno solide hanno fatto scorta di finanziamenti in sofferenza.
- Il diritto Europeo sul fallimento bancario è meno favorevole alla ristrutturazione del debito rispetto a quello statunitense.
Il problema del debito aziendale è peggiore in Portogallo, Spagna e Italia, dove l’FMI calcola che rispettivamente il 50%, 40% e 30% del debito sia detenuto da aziende che non possono ripagare gli interessi.
Queste aziende non possono né investire, né crescere. Sono imprese zombie, proprio come quelle che navigavano in Giappone negli anni ’90.
Secondo il Fondo Monetario Internazionale, la trazione maggiore esercitata sull’Eurozona è rappresentata non tanto dal debito dei governi, quanto quello dei privati. Per risolvere questa situazione il prerequisito è austerity meno draconiana e questo, finalmente, inizia a capirlo anche la Cancelliera Merkel.
Per i privati, scrive il giornale inglese, è praticamente impossibile ridurre il proprio debito, mentre i governi tentano di fare lo stesso. Inoltre, è necessario che le banche riconoscano e indichino tutti i prestiti in sofferenza. Ecco, dunque, che la revisione di qualità della BCE diventa fondamentale.
Draghi dovrà tenere duro contro ogni pressione politica che voglia minimizzare le dimensioni del problema "bad loan" al fine di minimizzare i potenziali deficit di capitale. Allo stesso modo, i politici europei devono essere disposti a fornire le risorse per ricapitalizzare le banche, se necessario.
L’Europa, conclude il The Economist, dovrà riformare le leggi che regolano la bancarotta e, in effetti, anche se servirà ancora molto tempo, le cose si stanno già muovendo in questa direzione.
La Spagna e l’Irlanda hanno introdotto le "bad banks" e diversi paesi hanno semplificato le regole per la bancarotta, ma c’è ancora molto da fare.
In Italia vengono venduti soltanto due miliardi di euro all’anno di debiti in sofferenza. La Bundesbank è pronta a dare lezioni a tutto il mondo della finanza, ma non a fare luce sul caos che si cela dietro le banche regionali tedesche.
Per raddrizzare tutto questo servirà ancora molto del tempo. La zona Euro non sarà mai come l’America, ma per i leader d’Europa trovare una via d’uscita dalla trappola del debito privato dev’essere una priorità. Banche più efficientemente capitalizzate sono banche più disposte al prestito, oltre ad essere la via giusta per una corretta unione bancaria.
Un continente disseminato di aziende zombie e imprese al collasso non sarà mai un continente prospero. Sta a Mario Draghi ripulire tutto.
| Libera traduzione dal The Economist: Europe’s other debt crisis |