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Stati Uniti “to big to fail”. E se fallissero davvero, cosa accadrebbe?

venerdì 11 ottobre 2013, di Nicola D’Antuono

A quanto pare gli Stati Uniti sarebbero vicini a una soluzione “ponte” per scongiurare temporaneamente il rischio di default sul debito pubblico. I republicani sono pronti a stringere la mano ai democratici, ma in effetti sarà solo una tregua in quanto l’accordo per innalzare il tetto del debito non andrà oltre le 6 settimane. Ciò vuol dire che a dicembre si tornerà punto e daccapo. Gli Stati Uniti non sono mai falliti nella loro storia e vengono considerati giustamente “too big to fail”, ovvero troppo grandi per fallire. D’altronde, come diceva l’ex guru della FED, Alan Greenspan, “gli Stati Uniti non potranno mai fallire perché all’occorrenza possono stampare moneta”. In realtà le cose non sono così semplici, sebbene gli USA siano la prima potenza economica del mondo e il dollaro riserva globale di ultima istanza.

La storia della finanza ci ha insegnato che nulla è impossibile e che la bad tail, ovvero il rischio di coda (leggasi: “catastrofe finanziaria”), è sempre dietro l’angolo, soprattutto quando è meno atteso. E’ successo con il panico bancario di New York nel 1907, con la World War I nel 1914, con il crollo di Wall Street nel 1929 e poi nel 1987, fino all’11 settembre 2001 e la crisi finanziaria del 2008, tanto per citare alcuni casi famosi. Gli Stati Uniti non sono mai finiti in default e da questo punto di vista manca un riferimento preciso del passato. Praticamente nessuno crede che il paese possa finire in default, nemmeno Dick Fuld, ex numero uno di Lehman Brothers, che però mai si sarebbe aspettato di affondare con la sua storica banca newyorkese senza che il governo muovesse un dito per salvarla.

Gli USA devono trovare un accordo sul debito entro il 17 ottobre, altrimenti sarà default tecnico. Entro questa data il debito pubblico avrà già superato la cifra astronomica di 16.700 miliardi di dollari, ovvero il limite legale. Tuttavia, l’accordo ponte semplicemente rimanda il problema a poche settimane più tardi. Cosa accadrebbe se il rischio default dovesse ripresentarsi? Come reagirebbero gli investitori? Gli USA sono andati vicini al default nell’estate del 2011, ma il Congresso riuscì a trovare una soluzione in extremis senza però evitare il downgrade sul rating sovrano che, per la prima volta nella storia, venne declassato dal livello AAA da Standard & Poor’s. Quell’estate le borse americane persero quasi il 10% della loro capitalizzazione. L’incertezza può costare cara, non solo alle borse ma anche ai bond.

Se il paese dovesse clamorosamente finire in default, Wall Street sarebbe un boccone troppo grande per gli hedge funds per non tentare scommesse ribassiste da centinaia di miliardi di dollari, come accaduto ad esempio quando avvenne il crack di Lehman Brothers (il più grande della storia, 640 miliardi). Gli indici azionari USA sono ai massimi di sempre e il default rischierebbe di far perdere alle borse americane decine di punti percentuali di capitalizzazione. E poi ci sarebbe la catastrofe per i T-Bond, con un’impennata dei tassi che potrebbe anche superare il 6-7%. Il dollaro dovrebbe crollare, mentre l’economia finirebbe certamente in recessione contagiando anche il resto del mondo. Uno scenario sconvolgente, forse anche poco probabile, ma quando si parla di mercati finanziari niente può essere escluso.

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