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Perché la BCE ha un bisogno disperato di Donald Trump
venerdì 11 novembre 2016, di
Gli effetti della vittoria di Donald Trump sui mercati spiegano tutti i motivi per cui il repubblicano controverso come presidente degli Stati Uniti è esattamente ciò di cui la BCE e l’economia dell’Eurozona avevano bisogno.
Le promesse di Trump di aumentare la spesa nelle infrastrutture, tagliare le tasse e alleggerire le normative nel settore bancario piacciono agli investitori.
Da anni la Banca Centrale Europea chiede ai governi dell’Eurozona di sostenere la politica monetaria implementando le riforme strutturali.
La banca centrale, guidata dal presidente Mario Draghi, sta disperatamente cercando di risollevare le sorti dell’economia europea attraverso una serie di misure di stimolo straordinario. Il crollo del prezzo del petrolio non ha fatto altro che aggiungersi a tutti i problemi della BCE, mettendo sotto pressione l’inflazione. Solo il mese scorso siamo finalmente riusciti a vedere l’inflazione dell’Eurozona salire sopra lo 0.5%.
Nel mese di giugno Draghi aveva avvisato:
Vi sono molti motivi politici comprensibili per ritardare le riforme strutturali, ma ce ne sono molto pochi economici. Il costo del ritardo è davvero troppo alto.
Di tutti i modi per accelerare la realizzazione del nostro potenziale economico, forse il più semplice è quello di rimuovere le incertezze che ostacolano le decisioni a lungo termine e frenano gli investimenti.
Nonostante i tentativi di riforma ambiziosi in Spagna, Italia e persino in Grecia, la realtà dei parlamenti in bilico e della debolezza della domanda da parte dei consumatori ha ostacolato la tanto desiderata ripresa europea.
La Commissione europea questa settimana ha tagliato le prospettive di crescita per l’Europa nel 2017 all’1,5 per cento, in parte a causa delle ripercussioni del referendum Brexit con la decisione del Regno Unito di lasciare l’Unione Europea.
L’Europa prenda ispirazione dal piano di Trump
Nonostante sia difficile prevedere la dimensione potenziale del pacchetto di riforme di Trump, non si può escludere la possibilità che possa incidere per un rialzo del 2 per cento del PIL - per un valore di circa $350 miliardi - nel giro di quattro anni, insieme ad un previsto aumento del deficit di bilancio, parte integrante del taglio alle tasse, per il 4-5 per cento del PIL, se non di più, entro il 2018.
Se da una parte i paesi europei realisticamente non potrebbero sopportare un deficit così alto, dati i vincoli dei criteri di Maastricht per cui il rapporto deficit/PIL non può superare il 3 per cento, la Germania invece ha un ampio spazio di manovra.
Attualmente l’economia tedesca vanta un surplus, il famoso "Schwarze Null" (Zero Nero), di cui il ministro delle Finanze Schaeuble è orgogliosissimo.
Germania, Francia e Italia possono anche non concordare con il linguaggio esplosivo e lo stile controverso del neo presidente Trump, ma perché non prendere ispirazione del suo programma elettorale stimolando l’economia attraverso un piano di riforme strutturali tanto necessarie, un taglio alle tasse e un aumento del debito?
Abbandoniamo la prudenza e saliamo sul treno dello stimolo fiscale in stile keynesiano.
La BCE e Mario Draghi vi saranno grati.