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Mercati emergenti: banche centrali pronte a difendere le proprie valute senza limiti
giovedì 4 dicembre 2014, di
Le valute dei mercati emergenti continuano a soffrire a causa di un mix di fattori politici, economici e finanziari. Da quando la Federal Reserve ha annunciato la propria intenzione di avviare una stretta monetaria, mettendo innanzitutto fine al piano di QE da oltre mille miliardi di dollari all’anno, i mercati emergenti hanno cominciato ad accusare il colpo registrando notevoli deflussi di capitali. Le monete di questi paesi si sono deprezzate rapidamente, generando rischi di instabilità finanziaria. Snegli ultimi due anni sono tanti i paesi finiti nel mirino delle vendite: Argentina, Brasile, Venezuela, Sudafrica, Russia, Turchia, India, Indonesia, Ucraina.
Qualcuno è riuscito a risollevarsi (India e Indonesia), altri hanno registrato vere e proprie disfatte sia dal punto di vista economico (come il Venezuela e l’Ucraina) che da punto di vista finanziario (Brasile e Russia su tutti). Mettendo da parte i casi più drammatici, dettati dal default sul debito (Argentina) o da una iperinflazione da paura (Venezuela) o ancora dalla guerra civile (Ucraina), desta preoccupazione la caduta del valore di numerose monete di paesi emergenti molto importanti per l’economia globale. Un processo strutturale di deprezzamento potrebbe portare a nuovi tagli del rating sovrano e a una grave instabilità economico-finanziaria a livello mondiale.
Le banche centrali dei grandi mercati emergenti, in particolare Russia e Brasile, sono scese più volte in campo per fermare la discesa senza freni delle proprie monete. Oggi il Banco Central do Brasil ha aumentato nuovamente i tassi di interesse (tasso Selic) fino all’11,75%. L’incremento, comunque scontato dagli analisti, è stato pari a 50 punti base. A metà novembre scorso il real era sceso sui minimi da oltre 9 anni sul dollaro, rispetto al quale ha registrato una svalutazione del 70% circa in tre anni. Qualche giorno fa anche la Nigeria ha aumentato i tassi al 13%, per sostenere la propria economia quasi completamente dipendente dalle entrate petrolifere (ma il greggio è in caduta libera).
Infine c’è il capitolo Russia, che ha visto il rublo perdere quasi l’80% del proprio valore negli ultimi due anni. Lo scorso anno il paese ha registrato deflussi record di capitali pari a 61 miliardi di dollari, ma quest’anno si stima addirittura una fuoriuscita di denaro pari a 125 miliardi di dollari (qualcuno dice anche 140 miliardi). Dopo aver speso quest’anno quasi un quinto delle riserve e abbandonato la difesa del rublo lo scorso 7 novembre, la banca centrale russa è pronta a intervenire nuovamente e senza alcuna restrizione per fermare la debacle della valuta. L’istituto monetario di Mosca ritiene che un crollo eccessivo del rublo possa creare una grave instabilità finanziaria.