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La crisi dell’euro non è finita: ecco la dimostrazione

lunedì 23 settembre 2013, di Michele Ciccone

Chiunque abbia seguito la crisi dell’area euro negli anni passati non avrà difficoltà a comprendere il grafico qui sopra. Esso raffigura il costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP) - una misura di quanto costa produrre una data unità di output - in altre parole, un parametro di efficienza. Più in basso ci si trova lungo il grafico, più output si produce per ogni dollaro/euro/sterlina speso/a per produrlo.

L’importanza del CLUP

Perchè un simile parametro dovrebbe essere rilevante? Perchè all’interno di un’area monetaria integrata, in cui i paesi appartenenti condividono la stessa moneta e manifestano tassi interesse convergenti, ci si dovrebbe aspettare che, nel corso del tempo, anche i livelli di efficienza convergano. Se cosi non fosse, non si potrebbe ottenere lo stesso guadagno investendo in una regione dell’area monetaria piuttosto che in un’altra.
E, se si dovesse consentire che queste disparità persistano, cosi come dopo la notte c’è il giorno si osserverebbero permanenti trasferimenti di denaro contante da una zona dell’area valutaria (quella più efficiente) verso un’altra.
La crisi dell’euro è stata una diretta conseguenza degli enormi gap di efficienza tra le economie del nord europa (principalmente la Germania) e le economie Mediterranee. Gli enormi deficits e debiti che Grecia, Spagna, Portogalo e altri hanno sofferto sono il risultato della loro divergente capacità di produrre output in maniera efficiente.

Germania vs Zona Euro: a cosa si deve la divergenza?

Ma come mai la strada intrapresa da alcuni paesi nel grafico sopra (aggiornato oggi dall’OCSE) desta preoccupazione? Sono passati più di tre anni dal primo salvataggio greco e anche se alcuni paesi (Irlanda e Spagna) hanno fatto osservare una convergenza - i loro livelli di inefficienza si sono abbassati e il gap tra questi paesi e la Germania si è ridotto - per altri non si può dire lo stesso. Italia e Francia, infatti, sembrano essere lontani dalla Germania, in termini di efficienza economica, cosi come lo erano all’inizio della crisi.

Sembrano esserci, in realtà, buone ragioni per sospettare che la caduta nei livelli del costo del lavoro per unità di prodotto nei paesi più a rischio dell’area Euro (Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna) sia stata sovrastimata. In parte anche perchè tale caduta rifletterebbe cadute nei livelli occupazionali invece di rispecchiare un reale e profondo incremento nella capacità, da parte di questi paesi, di produrre beni e servizi.

Quali risposte per la crisi?

La risposta da dare alla crisi dell’area euro è la stessa che poteva essere fornita prima che il peggio cominciasse: in Germania bisognerebbe assistere ad un aumento dei salari monetari e dell’inflazione, spostando in alto la linea puntata in fondo al grafico. Oppure il resto dell’Europa deve ridurre i salari monetari e il livello dei prezzi, spingendo in basso nel grafico le altre linee. Oppure l’Europa deve riuscire ad ottenere in maniera permanente trasferimenti di ricchezza dalla Germania ai restanti paesi europei. Altrimenti l’euro si romperà.

Semplice no?

Libera traduzione da: Ed Conway

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